RIFLESSIONI SU UNA GIORNATA DI TEMPO CATTIVO. SI PARTE DALLA PIOGGIA E SI ARRIVA A TIMOR EST
Giornataccia. Pioggia, vento, nuvole. Però per fortuna nessuno dei media ha titolato: tornado, uragano, tifone. Perché ormai è così: piove? Bomba d’acqua. Neve? Tomenta. Caldo? Clima torrido. Afa, calura. Mare mosso? Tempesta, tsunami. Fiume fuori dagli argini? Inondazione. Siamo nel secolo dell’esagerazione. Una volta le stagioni facevano il loro sacrosanto dovere. D’estate faceva caldo, l’inverno faceva freddo e nessuno si lamentava più di tanto. Il meteo lo si faceva in ascensore quando non si sapeva di cosa parlare in quei secondi di vicinanza coatta. Eh signora mia non ci sono più le mezze stagioni: era il massimo della lamentazione. Oggi tutti sanno non solo i nomi degli uragani ma anche quello delle perturbazioni semplici. Eppure subiscono il fascino delle esasperazioni. Si dilata, si amplifica. Anche per protagonismo. Siamo tutti zuppi d’acqua? Per forza, siamo in pieno diluvio. Le cose normali non ci piacciono. Subiamo la pressione dei giornali che amano ingigantire tutto usando con grande disinvoltura le parole. Muore un torinese in Tunisia? “Torino sotto shock”. Non è vero. Una città non è mai sotto shock. A meno che la tv non dica che è sotto shock. Quando dirigevo Pm, un mensile bellissimo edito da Mondadori, Omar Calabrese scrisse per noi un bellissimo saggio in cui analizzava le reazioni alle tragedie (era appena caduto il jumbo sudcoreano). Omar riuscì perfino ad “inventarsi” un’equazione per stabilire un rapporto fra i vari elementi interessati alla disgrazia, numero delle vittime, età, distanza, parentela, nazionalità, ricchezza. Ti commuove di più la morte per malattia di un bambino che abita nell’appartamento accanto al tuo oppure la morte improvvisa di 300 sconosciuti dall’altra parte del mondo in una tragedia aerea? Ti turba di più la morte di povero o quella di un ricco? La risposta non è così scontata. Ed esistono molti stadi intermedi tanto che si possono stabilire rapporti piuttosto cinici. Quanti giapponesi lontani per un bambino vicino? In quei tempi, ai tempi del jumbo coreano, imperversava a Timor Est, microregione dalle parti dell’Indonesia, una guerra che faceva centinaia di vittime, bambini trucidati, donne stuprate, foreste distrutte dal napalm. Non gliene fregava niente a nessuno. I giornali non ne parlavano. Durò quasi trenta anni. Non si sapeva nemmeno come chiamarle le vittime di Timor Est. Timorestesi?
calabrese, timor est, tunisia