Propongo un giuramento collettivo. Che nessuno parli più di Fabrizio Corona. Sinceramente, ormai ha sfracassato gli zebedei. LI ha sfracassati tanto. E che adesso abbia annunciato che vuole andare in Ucraina e porre termine, in maniera definitiva e in gloria, al suo passaggio in questo mondo terreno, è una notizia che ci lascia disperatamente indifferenti. Questo è il senso del giuramento. Mai più Fabrizio Corona. Mai più. A me dispiace per questa tegola che arriva sul capo del coraggioso popolo ucraino ma non farò nulla perché Fabrizio receda dal suo proposito di raggiungere l’eroica Kiev e andare a disturbare della gente che, come direbbero i francesi, ha già i suoi cazzi. Quindi dimostriamo al mondo che noi abbiamo il coraggio e la forza di dimenticare il campione del mondo di sfracassamento, l’uomo che ormai ha quasi completato il giro del mondo dei reati possibili. Lasciamolo nella sua definitiva ricerca della gloria. Anche lui ha il diritto all’oblio.
Il Toro si considera perfetto ed è quindi noioso e abitudinario. Passa tutto il giorno a programmare il futuro. Pensa solo a guadagnare. Spende cifre al Superenalotto. È tirchio e dà poco di sé. Crede di essere romantico ma non ha mai fatto un regalo decente alla sua bella. Per non parlare della moglie. Ovviamente in amore è fedele ma solo perché il tradimento è poco programmabile. Tradisce solo con una donna che abbia lo stesso nome della moglie o della fidanzata. E lo stesso colore dei capelli. Così, per non fare confusione. È sempre convinto di essere bellissimo e pieno di fascino. Quindi in amore punta in alto. Cerca donne belle, sexy, intelligenti e di successo. Quando per combinazione ne conquista una, è in difficoltà perché non regge il passo. Per il Toro amare vuol dire possedere. Se lei, per strada, incontra George Clooney e si volta a guardarlo, il Toro pensa subito che sia una poco di buono. Non vuole nemmeno che esca con le amiche. Non le fa vedere il film che vuole in tv. Non la fa rispondere al telefono. Non la manda ad aprire la porta. Non vuole che parli in pubblico. Stranamente di questo segno è Vittorio Sgarbi. Si tratta sicuramente di un errore. O le stelle quella notte erano ubriache, oppure la mamma lo ha denunciato con qualche mese di ritardo. Stranamente nel sesso il Toro ha fantasia, anche troppa. Ogni tanto, nonostante la sua gelosia, cerca di convincere la sua donna a fare passi audaci, tipo amore in tre, ma se la sua donna dice: «Sì, ci sarebbe un mio amico a cui piace», lui si tira indietro perché non è quello a cui pensava. Per il Toro amore a tre significa lui con due donne. Una donna con due uomini per il Toro è perversione. Il Toro fa lasciare il lavoro alla sua donna. Quando la sua donna lascia lui, lui si chiede: «Come mai?» Lei generalmente gli risponde: «Perché sei deficiente». E lui risponde: «Ma io ti amo». Risposta deficiente. Il Toro è così perché il papà e la mamma lo trascuravano da piccolo, lo lasciavano a casa da solo e non gli compravano i giocattoli. A tavola il Toro è uno spettacolo. Mangia per il gusto di mangiare. Si siede e comincia a sentenziare. Commenta ogni piatto e ogni vino come se parlasse della Gioconda. Convinto che mangiare sia un’arte, non si accorge che di opera d’arte in opera d’arte supera i cento chili. I Toro, per la maggior parte, sono obesi. Il tempo libero il Toro lo dedica soprattutto a se stesso. Odia i giochi di squadra e cede solo se può comandare. Prepara le vacanze con precisione maniacale, si porta dietro cinque valigie ed è la disperazione dei compagni di viaggio. In questo è peggio dell’Ariete. Non ammette di aver sbagliato strada nemmeno quando con gli sci da fondo ai piedi si trova davanti alla tonnara di Mazara del Vallo. Le vacanze sono in ogni caso, per il Toro, un’angoscia. Lui vorrebbe passarle a casa, con il suo tè, la sua poltrona, la sua radio dove ascolta Radio 3 (Fahrenheit). Se proprio deve andare, sceglie le terme, la campagna, i park hotel. Non gli piacciono le feste e le cene, se non quelle in cui sa prima chi c’è e che cosa si mangia. Se fuma, non vuole che altri fumino. Se non fuma, costringe i fumatori a uscire sulla terrazza anche d’inverno e nella tormenta. Sul lavoro è oggetto di lazzi per l’ordine assoluto della sua scrivania, che pulisce con l’alcol tutte le mattine, vietando a chiunque di poggiarvi le mani. Con le passeggiate di Immanuel Kant la gente regolava gli orologi. Kant era Toro. Ed erano Toro alcuni fra i più noiosi pensatori moderni: Freud, Wittgenstein, Kierkegaard e Marx. La coppia Toro-Tora è di una noia mortale. «Vuoi uscire caro? No, vero?» «No, caro, stiamo tanto bene a casa.» A volte gli amici chiamano i pompieri perché non li vedono per mesi. Essendo entrambi tirchi, spesso lasciano eredità fantastiche ai figli.
Alla fine di luglio di quindici anni or sono due gay vennero beccati in flagranti effusioni dalle parti del Colosseo. Si difesero dicendo che si stavano semplicemente baciando. I carabinieri dissero: “No, quello non si chiama bacio. Avevano i pantaloni calati. Quello si chiama sesso orale”. Chi aveva ragione? Non lo sappiamo. La parola dei carabinieri contro quella dei due giovanotti. Ebbi l’impressione che la parola dei carabinieri valesse di più. Ma non era questo il problema. Un po’ di omofobia, comunque, si sentiva, a prescindere dalla versione vincente. Il problema che vorrei porre è il seguente: perché tutti i giornali, tutti, cominciarono a dibattere se fosse consentito o meno a due uomini di baciarsi in pubblico? Che cosa c’entrava? E’ evidente che è legittimo che due uomini si bacino in pubblico. Ma non era questo che i carabinieri avevano contestato ai due gay. I carabinieri sostenevano che i due gay stavano facendo davanti al Colosseo quello che Clinton faceva sotto la scrivania dello Studio Ovale. Il dibattito che doveva partire era quindi il seguente: è consentito fare sesso orale davanti al Colosseo? Oppure: è più credibile un gay o un carabiniere? Oppure: come si fa quando non ci sono testimoni? Oppure: se due eterosessuali avessero fatto sesso orale davanti al Colosseo, i carabinieri sarebbero intervenuti? Invece come al solito i quotidiani partirono per la tangente e cominciarono a discutere di ciò che non era in discussione. Ma è veramente così difficile essere rigorosi nelle discussioni?
L’Ariete è un capoccione. Non solo. E’ anche un temerario. Se siete Ariete, datevi una calmata. Le donne che per disgrazia fossero fidanzate con un Ariete non si facciano infinocchiare dalla loro apparente generosità. Gli Ariete fanno una cazzata dietro l’altra e trascinano chiunque nel baratro perché non vogliono mai essere soli quando precipitano. Gli Ariete sono totalmente incapaci di fare le scelte giuste lasciandosi guidare dalla prudenza e dalla riflessione. Se la tirano da artisti con la scusa che erano Arieti Van Gogh, Leonardo e Raffaello e pensano che tutto sia loro dovuto. Ma dimenticano che è Ariete anche Lady Gaga, il che azzera tutto. Quando incontrano un ostacolo si innervosiscono e cercano di superarlo abbattendolo, convinti che all’ultimo momento l’ostacolo si sposterà. Una volta caduto l’Ariete è un piagnone. Ha bisogno di continue coccole ed è insopportabile quando si sente abbandonato. Vuole essere sempre lui a decidere, dal cinema alle vacanze. Nemmeno di fronte al cagotto più inesorabile ammetterà di aver sbagliato ristorante. Se volete convincere un Ariete dovete ingannarlo, fargli credere che non volete la cosa che volete. L’Ariete comincia sempre molte cose e non ne porta a termine una. Dispersivo come una cicala, antipatico come un muflone, pigro come un bradipo. L’Ariete è convinto di avere sempre ragione, discutere con lui è inutile tempo perso. E’ talmente presuntuoso che quasi sempre perde di vista l’obbiettivo principale. Le battaglie nelle quali spende le sue migliori energie sono sempre o quasi sempre battaglie inutili. Ovviamente pensa di essere molto bello e per convincersene fa di tutto, palestra, pilates, yoga, taekwondo. Se volete abbattere un Ariete senza usare armi, ditegli che è leggermente ingrassato. Anche perché per lui è facile ingrassare. Mangia come un maiale.(csf)
Che ne dite di scrivere una bella lettera al direttore del vostro quotidiano preferito? La lettera ve la suggerisco io. Prendete appunti: “Caro direttore, volevo informarti che il carattere con cui vengono composti gli articoli del nostro giornale è troppo piccolo ed io fatico a leggerlo. Che ne dici di ingrandirlo così che anche io possa leggerlo senza affaticarmi gli occhi?”
Ma non basta. Scrivere anche al vostro medico di fiducia. La lettera è questa: “Caro medico di fiducia, che ne dici di scrivere le ricette con una calligrafia leggibile visto che sei pagato per prenderti cura della mia salute e il mio farmacista dice che non capisce un cazzo di quello che scrivi? Scrivere in maniera leggibile è una questione perlomeno di buona educazione”.
Ma non basta. Prendete i bugiardini delle medicine che assumete per sopravvivere a questa vita infame e scrivete alla azienda che le produce. Così: “Cara azienda farmaceutica, le indicazioni che allegate alle medicine da voi prodotte sono scritte in un carattere talmente piccolo che sono costretto ad usare la lente di ingrandimento per scoprire le controindicazioni, le dosi, i rischi, insomma tutte le cose che dovrebbero impedirmi di morire. Che vi costa farle scrivere con caratteri più grossi?”
Fatelo. Non servirà a nulla. Ma il giorno che morite potete fargli causa.
7 DICEMBRE 2011. Nel nostro blog pubblicai un assaggio del libro che avevo scritto sull’oroscopo. E che avevo chiamato “Stelle bastarde”. Perché bastarde? Perché non dicono la verità. O meglio, gli oroscopari non dicono mai la verità per accattivarsi la simpatia dei lettori. Io feci una opera di controinformazione pubblicando gli oroscopi veri. Perché, come tutti sanno, l’astrologia è una scienza esatta, non come la fisica o l’astronomia. Ecco quindi un assaggio dell’oroscopo della Vergine.
Non bisognerebbe mai dividere gli uomini in categorie e poi parlar male dell’intera categoria solo perché un membro di questa categoria ci sta sulle palle. Ma la categoria dei tifosi fa eccezione. Il tifoso è l’uomo più vicino alla demenza. E’ l’uomo che se un difensore della sua squadra uccide un attaccante avversario con un colpo di bazooka dice che era un colpo involontario ed il rigore non c’è. Il tifoso è il classico uomo con le fette di prosciutto sugli occhi. Fa il tifo per una squadra di Milano che va in campo con undici stranieri. E perché un siciliano fa il tifo per l’Inter e la Juventus? Una volta i tifosi della pallacanestro tifavano per squadre che avevano il nome della città. Adesso tifano Scavolini, Benetton o Reyer. E se per caso cambia lo sponsor il tifoso deve cambiare anche l’urlo? I tifosi sono esagerati . Non ammettono ironia, scherzi, critiche. Una volta, ad “Un giorno da pecora” tentammo di far indossare la maglietta della Lazio ad un famoso attore romanista. Saltò in aria come un tarantolato e scappò via abbandonando la trasmissione. Conosco persone serie, timorate di Dio, posate, prudenti, rispettosi della legge, che di fronte ad una partita non sanno comportarsi da persone civili. Vedono rigori dovunque, l’arbitro è sempre venduto, non hanno mai il minimo dubbio, solo certezze. Il tifo è veramente una malattia grave. Io tornerei a fare il tifo per una squadra di calcio il giorno in cui fosse obbligatorio schierare solo giocatori non solo italiani, ma addirittura nati nella citta o nella regione della squadra stessa. Come succede per le nazionali. Vi immaginate Messi che gioca con l’Italia? O Donnarumma nella porta del Qatar? Lo so, è una idea un po’ cretina. E impossibile da realizzare. E allora va bene così. L’irrazionalità non mi avrà. Viva Tamperi, viva Goggia, viva Federica Pellegrini. Anche quando andavano in giro con quelle orrende divise disegnate da Armani. Noi nazionalisti siamo fatti così.
Ormai di interviste non ne faccio quasi più. Anzi non ne faccio proprio più. Ma una volta ne facevo tante. Anche più di una alla settimana. Le facevo per Sette, per Anna, per GQ. Se andate nel blog dove le ho tutte raccolte (http://interviste.sabellifioretti.it/) ne trovate quasi 600 o forse di più. Per una attività così frenetica ho dovuto darmi delle regole. La principale delle quali era: devo far rileggere le interviste agli intervistati? La mia risposta era: “Si”. Nel libro “Voltagabbana”, Marsilio editore, nel quale ho raccolto tanto tempo fa una cinquantina di interviste, quelle che consideravo le più interessanti, spiegavo il ragionamento che mi aveva portato a questa decisione, nel capitoletto dedicato al mio colloquio con il politico Teodoro Buontempo:
“Alla fine dell’intervista io lo avvertii che gli avrei mandato il testo perché potesse dargli un’occhiata. È un abitudine che ho. So che molti colleghi la considerano una pessima abitudine. Io invece sono convinto del contrario. A mio giudizio un intervistato ha diritto di controllare le sue parole. Posso sbagliare qualcosa, posso aver capito male, può ripensarci. Non è un favore che gli faccio. È un’opportunità che mi prendo. L’intervistato, sapendo che rilegge l’intervista, è più sciolto, ha fiducia, dice di più, anche in presenza di un registratore. E quando rilegge l’intervista fa pochissimi aggiustamenti. Generalmente. Ci sono stati casi in cui di questa “cortesia” qualcuno ha abusato. I giornalisti, spesso, quando vengono intervistati, si mettono a fare i pignolini. Cambiano le virgole, gli avverbi, gli aggettivi. Qualcuno si è anche arrabbiato, non riconoscendosi in quello che io ho scritto. Con un’attrice, Ida Di Benedetto, è stata una rissa. Telefonò perfino all’editore, Cesare Romiti. Ma alla fine ho vinto io. È stata una bella battaglia anche con Paolo Cirino Pomicino. Una sola volta ho perso. Con una collega, Antonella Boralevi. Alla fine l’intervista non è uscita. Ho sbagliato, non avrei dovuto cedere. Ma mi aveva stremato. Dall’altra parte c’è anche chi, letta l’intervista, ti telefona e ti dice: “Stupenda. Non credevo che potessi riassumere così bene tre ore di conversazione”. Oppure: “Non credevo di parlare così bene”. Ombretta Colli non ha voluto cambiare una virgola. Il caro amico Filippo Ceccarelli mi ha telefonato: “Come potrei cambiare qualcosa? È pura poesia”.
Ma Teodoro Buontempo li superò tutti. Mi disse: “Io non voglio leggere l’intervista prima”. Ma è un piacere che le chiedo. “È un piacere che non le faccio. Leggerò l’intervista come tutti, comprando Sette dal giornalaio”.
Nella tesi di laurea scritta da Massimo Costa (titolo: L’intervista: storia, ecniche ed evoluzione di un genere giornalistico), l’autore, che mi aveva intervistato a lungo, e mi aveva chiesto di spiegare se secondo me fosse meglio far rileggere o no, scrive: “
Come mai lei è così convinto che si debba far rileggere l’intervista dopo che la si è scritta? Per molti invece non si dovrebbe mai far rileggere.
Sono giuste tutte e due le posizioni. Io preferisco far leggere l’intervista perché le mie interviste durano anche quattro ore. E’ giusto quindi che l’intervistato veda come è stato effettuato il lavoro di sintesi.
Accetta sempre le correzioni?
Questa è la fase “polemica”. L’intervistato chiede e propone delle correzioni. Io insisto, ma solo se ne vale la pena. L’ultima parola non è la mia. Io riconosco all’intervistato il diritto di cambiare fino alla fine. Al 99 per cento vinco io.
Il rapporto tra intervistatore e intervistato è sempre di parità? Oppure visto che ha sempre a che fare con i potenti rischia di subire il ruolo di chi ha di fronte?
No, anzi. Spesso è l’intervistato ad avere soggezione proprio perché non sa che fine faranno le sue idee. Promettergli la rilettura lo tranquillizza e lo dispone a maggiore sincerità. Alla fine i cambiamenti che chiede, nella maggioranza dei casi, sono minimi.
Nel caso di Ruggero Guarini però è riuscito a pubblicare una pseudo-intervista anche se lui l’aveva diffidata dal farlo…
Guarini si è comportato in maniera arrogante. Pretendeva non di correggere alcune cose ma di bloccare l’intervista nonostante riconoscesse che non conteneva cose false o inventate. Diceva che era “mutila e tendenziosa” Ma tutte le interviste sono mutile perché è inevitabile tagliare quattro o cinque ore di conversazione
La domanda che adesso vi faccio è: secondo voi è giusto come facevo io che facevo rileggere le interviste oppure è giusto come teorizzavano, e teorizzano, Stefano Lorenzetto e Gian Antonio Stella, che non lo facevano e non lo fanno?
Ci sono delle pubblicità divertenti e delle pubblicità odiose. Non è una considerazione sciocca come si potrebbe pensare di primo acchito. Perché tutte le pubblicità dovrebbero secondo me essere divertenti. Se non sono divertenti può succedere come succede a me quando mi imbatto in una pubblicità odiosa: cambio canale. Subito, al primo frame. Quando vedo per esempio quel ragazzino che sbatte per terra il suo cellulare e corre per casa strillando, a me viene in mente come prima cosa che ha dei genitori pessimi e poi che debbo subito trovare il telecomando per liberarmi di lui e del mio Iphone. E invece mi piace da morire quella pubblicità delle Golia in cui c’è l’orso che viene risucchiato dalla finestra e piomba a sedere sul divano insieme al padrone di casa. Quando arriva l’orso io rimango rapito e non stacco gli occhi dal televisore forse sperando che ci sia un altro episodio della serie. Ci sono pubblicità che ti fanno odiare il prodotto ed altre che ti fanno venire la voglia di correre a comprarlo. Ed ecco l’idea. Perché ognuno di noi non segnala i suoi odi ed i suoi amori? Comincio appunto io. Odio Iphone. Amore Golia. A voi. Chissà che non ne nasca un indice di gradimento della pubblicità.
Una ventina di anni fa Fabrizio Carbone, mio amico, ex collega a Panorama, frequentatore molto assiduo di questo blog, uomo molto attento alle politiche ambientaliste tanto da passare metà dell’anno in una casetta su un lago finlandese, scrisse un post che conteneva questa frase in relazione a come venivano puniti in Finlandia gli automobilisti che superavano i limiti di velocità:
Multe per eccesso di velocità? Sono rare in Finlandia perché c’é molto autocontrollo. Ma se succedesse ecco il punto: si paga a seconda del reddito. Il poliziotto che ti ferma per strada ti chiede la tua carta dove risulta chi sei, che fai e soprattutto quante tasse paghi. Se sei un super ricco paghi una multa che non se la dimenticheranno neppure i tuoi eredi. Se sei un pensionato al minimo (1500 euro al mese) paghi pochi euro.
Perché dico ciò? Perché secondo me questo è un principio giustissimo. Secondo me tutte le multe per contravvenzioni al codice della strada dovrebbero essere proporzionali al proprio reddito. Parcheggi in divieto di sosta? Sai che cosa ti frega se sei un milionario di pagare una multa di qualche euro. Anzi lo consideri quasi il pagamento di un diritto di parcheggio. Ma se devi pagare due o tre mila euro cominci a pensarci la prossima volta. Stessa cosa se passi col rosso, se vai in direzione vietata, se guidi sulla corsia di emergenza. Pensate che bello: le casse dello Stato rimpinguate da coloro che non sanno essere ligi alle leggi. Conversione ad “u”? Cinquemila euro di multa se guadagni cinquemila euro al mese. Sorpasso vietato? Diecimila se sei presidente della Fiat. Un sogno.