Giorgia Meloni ha detto nella splendida conferenza stampa che è stato giusto per il centro destra “riequilibrare” le forze dei vari gruppi politici alla Rai. Con questa dichiarazione ha quindi riaffermato il principio che chi vince piazza i suoi nelle varie direzioni delle reti e dei telegiornali. Insomma, la lottizzazione. Sarebbe stato bello che Giorgia avesse stimolato la nomina di persone intelligenti ed abili alla guida delle reti e dei Tg. Sarebbe stata la prima e sarebbe stata apprezzata per questo. E sicuramente sarebbe stata premiata. Invece ha preferito nominare i suoi, confermando di non avere nessuna intenzione di innovare rispetto a quello che hanno fatto finora le destre e le sinistre. Pazienza. Giorgia Meloni è come tutti gli altri. Non ha velleità innovative né tantomeno rivoluzionarie. Ha perso una occasione storica. Ed è stata subito punita. Il Tg 1 ha perso 336 mila spettatori, Il Tg2 ne ha persi 160 mila. Una tendenza generale? No, al Tg della 7, quello di Enrico Mentana, è andata meglio. Ha aumentato gli ascolti di poco ma non ha perso e ha raggiunto come audience il Tg2. Esiste Dio.
La prossima volta che sento qualcuno parlare male dei giornalisti vado lì e lo meno. La realtà è che la classe dei giornalisti è composta di persone assolutamente buone, gente che non farebbe male ad una mosca, individui che fanno di tutto per mettere a loro agio la gente. Non ci credete? Andatevi a leggere le interviste che compaiono sui giornali o vengono trasmesse dalle varie televisioni. Onorevole come sta? Qual è il suo difetto più grande? Che cosa farà quando andrà in pensione? Che cosa farebbe per migliorare la vita dei cittadini? Quale sfide ha affrontato? Il più bel ricordo? Mai una volta che chiedessero ad un imprenditore perché evade le tasse o ad un politico se si è mai fatto corrompere. Mai una volta che un giornalista di fronte ad un intervistato evasivo gli ripeta la domanda in maniera anche ossessiva fino a quando non ottiene la risposta. L’ultima conferenza stampa di Giorgia Meloni è un grande esempio. Domande simili a editoriali o ad un chiacchiericcio salottiero. Alle pochissime domande che potevano metterla in imbarazzo Giorgia semplicemente non ha risposto senza che nessuno protestasse. Il momento più bello è stato quando la presidente del consiglio ha detto: “Deco andare a fare la pipì”. E qualcuno le ha risposto: “Ne ha la facoltà”.
D’accordo, aveva il porto d’armi. E perché aveva il porto d’armi? Perché si sentiva minacciato. D’accordo. Gli iraniani forse ce l’avevano con lui. Ma lui di armi ne aveva sei. Le altre cinque per uso sportivo. Una passionaccia, insomma. E come possiamo prendercela con chi ha le passioni? Strano però che “per uso personale” avesse comprato una pistolettina, un revolverino, una rivoltellina, una specie di giocattolo. Figurati che paura che poteva mettere agli iraniani con quel pezzetto di ferro che stava nel palmo di una mano ed era talmente basic che per fare esplodere il proiettile bisognava alzare il cane manualmente. Insomma portava quel gingillo a spasso per farlo vedere agli amici (escluderei la presenza di iraniani al cenone del viceministro Dalmastro). Forse aveva perfino sostenuto che gliel’aveva portato Babbo Natale. E così, guarda tu che guardo anch’io è partito il colpo. Dieci giorni di prognosi per il povero Luca Campana. Emanuele, che vergogna, la prossima volta porta un’arma seria!
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IERI SERA SONO ANDATO A UNA FESTA, UNA NOIA CHE NON VI DICO: NESSUNO CHE ABBIA SPARATO.
Che noia ragazzi. Ogni tanto, quando ci penso, mi viene la depressione. Io vivo in un paesino in montagna che annovera ben otto abitanti. Ho una certa età e avendo fatto per tutta la vita il giornalista mi è rimasto il vizio di voler essere informato. La televisione non mi piace e i telegiornali sono insopportabili, anche quando, per eventi assolutamente fortuiti, sono costretti a scrivere la verità. Affidarmi all’informazione che arriva con internet, come fanno i giovinastri oggi, è peggio che darsi delle martellate sugli zebedei. Raggiungi la verità più facilmente leggendo i fondi del caffè. Comprare i quotidiani, per me, vuol dire fare venti chilometri al giorno (quando sono in montagna), oppure 700 gradini (quando sono al mare). Non mi rimane che affidarmi alle versioni online dei quotidiani che non sono il massimo soprattutto per la vista.
Ma arrivo al dunque. Che noia ragazzi. I giornali ormai sono proprio brutti. Sono il meglio disponibile su piazza ma sono anche inevitabilmente brutti. Scusami direttore, non mi riferisco al Corriere dell’Umbria che è un giornale bellissimo, magistralmente diretto e con un ricco parco di collaboratori eccelsi, soprattutto il sabato. Ma tutti gli altri? Li leggete? Sono scritti male, pieni di notizie inutili e ripetitive, dimentichi del tutto di grammatica e di sintassi, una volta considerate indispensabili. Mi chiedo spesso: sono brutti e inutili per virtù propria o perché sono brutte e inutili le cose e le persone di cui si occupano? La seconda delle due. Come posso per giorni e giorni appassionarmi agli imbrogli che si aggirano dalle parti del Pandoro Balocco? Come posso pensare di vivere quotidianamente imbottito di ciò che pensano e divulgano Matteo Salvini o peggio ancora il generale Vannacci? Possibile che la mia vita debba essere condizionata da inutili editoriali che da tre anni non fanno che dibattere sull’utilità dei vaccini, problema secondo solo al livello intellettuale dei terrapiattisti? Pagine e pagine vengono riempite di incomprensibili elucubrazioni sul Mes senza che a nessuno passi per la testa di spiegare che cosa sia il Mes. E vogliamo parlare del ritorno incalzante e periodico dei dibattiti sul Ponte di Messina, opera che mai, mai, mai, lo sanno tutti, sarà realizzata?
Che noia ragazzi. Si scrivono colonne su Giambruno che va ad Atreju (e allora?), su Marta Fascina che si dichiara innamorata di Silvio Berlusconi come se fosse vivo, sulle conferenze stampa che slittano in continuazione, su calciatori che “fanno la differenza”, sul rischio che si corre a urlare alla Scala “viva l’Italia antifascista”. Tutta roba inutile che ci frana addosso non appena apriamo un quotidiano. Tutta roba inutile, comprese le 450 parole che ho appena scritto, e voi avete appena letto, sul fondamentale tema “che noia ragazzi!”
GIORGIA MELONI: LA STORIA PUÒ ASPETTARE.
Giorgia Meloni ha colonizzato la Rai. ESATTAMENTE come ha fatto tutti i partiti di destra e di sinistra prima di lei. Quindi suo diritto, quindi c’è poco da protestare. Gli unici che hanno diritto di protestare sono quelli che amano e credono in Giorgia Meloni. Lei ha perso una occasione storica. Dimostrare che Giorgia Meloni è diversa. Sembrava avesse intenzione di farlo. Ma non ce l’ha fatta. Lei è come tutti gli altri. E in più è postfascista. È come tale si comporta. Stessi slogan. Stessi comportamenti. Stesse idee. Quanto di peggio. Peccato. Sembrava che avesse intenzione di dimostrare che la destra, la sua destra, era diversa. E che potesse farcela. Invece no. Occasione persa. Per la storia l’appuntamento è rimandato.
una cara amica, anzi una vecchia amica, anzi una vecchia cara amica ( forse dopo questo incipit sarà una ex amica) ha scritto un libro molto bello. Non è il primo libro che scrive ma è secondo me il primo così bello. Si chiama “Fuori posto” (il libro, non lei). Lei si chiama Silvia Palombi ed è stata una delle prime frequentatrici nel mio ormai storico blog, quando c’erano Guasto, Welby, Ceratti e l’avv. Lina Arena. In questi giorni stiamo discutendo io e lei proprio del concetto di fuori posto. Io odio le cose fuori posto. Non il disordine. Il disordine mi piace. Ma le cose fuori posto sono sempre ordinatissime. Lo zucchero nel barattolo del sale. Le forchette al posto dei coltelli. Le mutande nel cassetto dei calzini. E cose di questo genere. A me piacerebbe per esempio che fuori di ogni cassetto ci fosse una targhetta con il nome del contenuto. E che fuori di ogni stanza ci fosse il nome della stanza, bagno, cucina, studio, salotto. Mi dicono che questo sia il principio della demenza senile. Comunque spero che il libro vada bene.
Nella polemica fra i due amici, Claudio Sabelli Fioretti e Massimo Fini, interviene sempre sul Fatto Quotidiano, Giovanni Valentini. Il Ponte sullo Stretto di Messina, almeno per ora, non unisce ma divide. Ecco il pezzo di Valentini.
È quasi commovente, a distanza di tanti anni, ritrovare su queste pagine due amici e colleghi come Massimo Fini e Claudio Sabelli Fioretti intenti a dissertare su una vexata quaestio come il Ponte sullo Stretto di Messina. Commovente e ammirevole per la passione, al limite del candore o dell’ingenuità, con cui affrontano la materia. Ma anche per il fatto che entrambi, rimuginando su argomentazioni d’antan, hanno nello stesso tempo torto e ragione. Torto nell’attaccare o difendere il progetto; ragione nell’usare motivazioni che sono state ampiamente sviscerate nell’ultimo mezzo secolo da una parte e dall’altra, favorevoli e contrari.Questo è sempre stato il Ponte della Discordia. Un sogno per alcuni, un incubo per tanti altri. E forse proprio per questo il progetto è rimasto finora sulla carta, mentre le pagine del dossier ingiallivano negli archivi parlamentari e ministeriali. Una storia infinita che ricorda quella raccontata con ironia da Andrea Camilleri nel suo romanzo epistolare La concessione del telefono, ambientato nella Sicilia di fine Ottocento.Ecco, il rischio sismico; la questione ambientale; il degrado delle coste; l’alternativa dei traghetti; le resistenze psicologiche; e naturalmente la mafia, il “regalo alla mafia”, per finire in crescendo con il “dio denaro”. Senza trascurare, com’è d’obbligo, la differenza escatologica fra il miraggio dello “sviluppo” e le suggestioni del “progresso”, alla maniera di Pier Paolo Pasolini.È stato già scritto tutto e il contrario di tutto, negli ultimi cinquant’anni, da quando il 17 dicembre 1971 fu varata una legge per il “Collegamento viario e ferroviario fra la Sicilia e il continente”. Per arrivare al parere favorevole con cui il Consiglio superiore dei lavori pubblici approvò il controverso progetto nell’ottobre del ’97. Ora Fini sceglie il momento giusto per riparlarne, “con l’avvento della destra-destra-destra” al governo e “sulla spinta di Forza Italia”, il partito-azienda guidato da un anziano tycoon che faceva affari con il Partito socialista di Bettino Craxi e intratteneva rapporti con Cosa Nostra, come documentano le carte del processo sulla trattativa Stato-mafia. Ma ha ragione Sabelli Fioretti a replicare: “Cerchiamo di combattere la mafia, ma senza affossare ciò che può essere d’aiuto all’uomo”.Suscitò un vespaio di polemiche un mio articolo intitolato “Quel Ponte della discordia bloccato dall’immobilismo”, pubblicato in prima pagina su Repubblica il 24 febbraio 1998. E mancò poco che mi accusassero di essere mafioso. Eppure, in quel pezzo avevo esaminato i pro e i contro, nel tentativo di superare i pregiudizi e le diffidenze reciproche. Fino a polemizzare anche con i Verdi e con la Cgil di un galantuomo come Sergio Cofferati.Nella dialettica manichea che spesso alimenta il confronto nel nostro sventurato Paese, l’opinione pubblica si divise in Guelfi e Ghibellini, favorevoli e contrari, come due tifoserie sugli spalti di uno stadio di calcio. E infatti, la mia replica una decina di giorni dopo s’intitolava “Buoni e cattivi tra Scilla e Cariddi”: dove i nemici del Ponte erano i buoni e tutti gli altri i cattivi. Quella che veniva evocata come “l’ottava meraviglia del mondo” si arenò così nelle sabbie mobili della politica nazionale.Nel suo articolo, Sabelli Fioretti ricorda che in Giappone, un territorio ad alto rischio sismico, il ponte Akasshi Kaikyo è lungo quattro chilometri e molti altri sono più lunghi di quello sullo Stretto. In un Paese “normale”, si aprirebbe un dibattito pubblico sui costi e benefici del progetto, sulla base di dati certi e pareri tecnici, piuttosto che sotto gli impulsi o le imposizioni governative. Ma il nostro, com’è noto, non è un Paese normale. E questo continuerà, a essere, chissà ancora per quanto tempo, il Ponte della Discordia.
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Ogni volta che viene pubblicato un articolo di Massimo Fini sul Fatto Quotidiano corro a leggerlo. Perché quasi sempre scrive cose che avrei voluto scrivere io e le scrive meglio di me. Perché Massimo Fini, lo sanno tutti, è bravissimo e non è mai scontato. Ma domenica ho letto il suo intervento sul Ponte sullo Stretto di Messina e mi sono detto: eccheccavolo, come si possono scrivere cose così generiche, errate e piene di luoghi comuni?
Ma se volete leggere tutto, compresa la risposta di Massimo Fini dovete andare a comprare il Fatto Quotidiano
Ma ormai si è fatta sera quindi potete andare anche su Facebook.
Anzi meglio ancora ecco il testo integrale.
Ogni volta che viene pubblicato un articolo di Massimo Fini sul Fatto Quotidiano corro a leggerlo. Perché quasi sempre scrive cose che avrei voluto scrivere io e le scrive meglio di me. Perché Massimo Fini, lo sanno tutti, è bravissimo e non è mai scontato. Ma domenica ho letto il suo intervento sul Ponte sullo Stretto di Messina e mi sono detto: eccheccavolo, come si possono scrivere cose così generiche, errate e piene di luoghi comuni?Sul Ponte sullo Stretto di Messina, caro Massimo, mi hai deluso.Primo argomento di Fini: non si costruisce un ponte in un territorio ad alto rischio sismico, dove un secolo fa ci fu un terremoto che causò 120 mila morti. Dice Fini che non bisogna dare retta a coloro che assicurano che saranno usate tecniche antisismiche raffinatissime. Dice che un ponte così grande non può reggere un terremoto di una qualche intensità.Non è vero. In Giappone, dove convivono con terremoti molto più intensi e frequenti dei nostri, ci sono tantissimi ponti che collegano le varie isole e che sono molto più lunghi del Ponte sullo Stretto di Messina. Il ponte Akasshi Kaikyo è lungo quattro chilometri. Collega la città di Kobe all’isola di Awaji.Iniziato a costruire nel 1988, le sue due torri resistettero al terremoto di Kobe, che colpì la zona con una intensità di 6,8 gradi Richter e fece 6 mila vittime. I lavori ripresero dopo un mese. Fu inaugurato nel 1998. Allora era il ponte sospeso più lungo del mondo.Dice Fini: “Poi ci sono gli imprevedibili che sempre assediano l’umano”. Ma gli imprevedibili per definizione non possono essere previsti. Per esempio, non si può prevedere che un meteorite possa distruggere lo Stadio Olimpico durante un derby Roma-Lazio. Che facciamo, vietiamo il calcio?Dice Fini, inesorabile: il Ponte Morandi fu costruito con tecniche avanzatissime. Ma la corrosione della salsedine lo ha fatto precipitare all’improvviso. Non è vero, non diamo la colpa alla salsedine, altrimenti tutti i ponti costruiti sul mare sarebbero crollati da tempo. La colpa è di chi doveva occuparsi della manutenzione e dei controlli e non l’ha fatto.E poi c’è la questione ambientale. Dice Fini che il Ponte potrebbe distruggere le coste come succede quando si costruisce un porto. È vero. Che facciamo? Blocchiamo tutto? O magari cerchiamo di usare tecniche più oculate, attente e meno invasive? E meno male che Fini non usa il vecchio argomento degli ambientalisti, secondo il quale il ponte e i piloni disturberebbero i viaggi degli uccelli migratori.Però usa un argomento che è anche peggio. “Il Ponte non serve né ai siciliani né ai calabresi perché per arrivare alla sua altezza ci vuole più tempo che per imbarcarsi sul traghetto”. Massimo, questo non è vero. Sembra che tu non sia mai andato in Sicilia oppure non ti sia accorto di quanto tempo ci vuole per fare attraversare lo Stretto ai treni. E quanto tempo le auto passano in fila in attesa dell’imbarco.Infine, o quasi. Dice Fini: “Ci sono anche delle resistenze psicologiche: noi siamo abituati ad avere di fronte un’isola dicono i calabresi, noi un continente replicano i siciliani” E qui un gigantesco chissenefrega si innalza dall’aere. E comunque, una sciocchezza del genere io non l’ho mai ascoltata. E io abito in Sicilia.Per concludere l’argomento principe: la mafia. Il Ponte farà arricchire la mafia. La mafia arricchisce anche adesso che il Ponte non c’è. Arricchisce con le costruzioni, per esempio. Ma nessuno si sogna di proporre il divieto di palazzina. Arricchisce sfruttando gli operai. Vietiamo alla gente di lavorare? Cerchiamo di combattere la mafia, ma senza affossare ciò che può essere di aiuto all’uomo.Massimo, io ti ho sempre seguito nei tuoi ragionamenti contro lo sviluppo sfrenato. Ma i ponti non me li devi toccare. I ponti sono un simbolo di comunicazione, di popoli che si incontrano, di civiltà che si contaminano. I ponti sono come la lingua, come la musica, come la scrittura. I ponti sono il passato, il presente e il futuro dell’uomo. Ti prego, Massimo, non ti opporre al Ponte sullo Stretto.Caro Claudio, non posso dimenticare la tua mirabile intervista, puntuale, precisa o quasi, ironica e con qualche giusta punzecchiatura, che mi hai fatto per il tuo libro Voltagabbana da cui risulta che nella mia vita io sono stato tutto (sex drugs and rock n roll) fuorché un “voltagabbana”. Né posso dimenticare le benevoli recensioni che hai fatto ad alcuni miei libri, né la rubrica su Cuore, da te diretto, che suscitò una mezza rivoluzione fra i tuoi redattori che mi consideravano ‘fascista’ e alla quale tu tenesti botta. Sono sempre stato coerente, coerente con me stesso. Una volta Paolo Liguori in non so più quale circostanza, disse che la mia era “una coerenza cretina”. Probabilmente ha ragione, ma trovo curioso che si volti la gabbana sempre a favore dei vincitori di giornata. Il “quasi” si riferisce a Claudio Martelli. Io gli sono stato amico solo nella disgrazia, mai nella fortuna. In questo seguo Fabrizio De André quando in Amico fragile canta: “Potevo barattare la mia chitarra e il suo elmo con una scatola di legno che dicesse: perderemo”.Le tue considerazioni sul Ponte di Messina appaiono argomentate in modo solido, però in chiusura di questa breve risposta ti devo ficcare, da buon scorpione qual sono, un pungiglione nel didietro. Tanti anni fa, portando in macchina tuo padre, non mi ricordo dove, lui mi disse: “Claudio è troppo interessato al denaro”. E il Ponte di Messina è solo e soltanto denaro.Affettuosamente.
Il Leone è prepotente e autoritario. Il Leone vuole essere quello che comanda, vuole essere quello che è al centro dell’attenzione, quello dalle cui labbra tutti pendono.
Non è uno stupido il Leone. Ma è insopportabile. È convinto di essere dotato di grande carisma e vuole vincere sempre, in tutti i campi. Parla sempre e non ascolta. Alla fine risulta antipatico a tutti a forza di raccontare quanto è bravo.
La compagna del Leone è una masochista. Non basta che taccia. Deve anche esibirsi in gridolini di giubilo tutte le volte che il Leone torna a casa e comincia a raccontare i suoi successi. Altrimenti è rissa. E vince sempre il Leone. Se a un Leone capita di perdere sostiene che si tratta di tattica. Una coppia Leone-Leona? La gente per strada si volta a guardarli e commenta: «Che bella coppia». Ma la vita è un inferno. La lotta fra due ego è uno spettacolo grandioso. Quando il trono è uno solo non c’è limite a ciò che si può fare per conquistarlo. È qualcosa come Orazi e Curiazi.
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