Dopo la botta di vita all’Isasmendi di Molino cerco un taxi compartido ma è troppo tardi sono tutti pieni. Continuo con la mia vita da nababbi e prendo un taxi solo per me alla pazzesca cifra di 35 euro. Ne vale la pena perché la strada è bella. Mi sono dato una regola. Quando la tappa è di trasferimento va bene il bus. Quando il paesaggio vale è meglio il taxi compartido che si ferma se vuoi fare delle foto. E se il taxi compartido non c’è, crepi l’avarizia, si vive una volta sola. Arrivato a Cachi faccio il bravo turista e vado alla pro loco nella grande piazza centrale. Chiedo dove andare a dormire e mi propongono due alberghi. Uno costa 350 e l’altro 150. Ricordo che 150 pesos sono 10 euro. Scelgo 350. Si chiama Don Arturo. Vado, mi registro, pago è solo allora mi accorgo che esistono due Don Arturi, un hospedaje e un hostal. Uno antico bello e di charme e l’altro nuovo, moderno e freddo. Indovinate quale ho scelto? Non è la mia giornata. Tutto felice perché non ho ancora perso nulla da quando sono in Argentina, primato mondiale, mi accorgo che ho lasciato il rarissimo caricatore dell’IPhone 6 nel lussuoso albergo di Molino. Incautamente dico fra me e me: me ne frego, ne ho portati due. E all’istante perdo anche il secondo e ultimo. Sono a terra. iPhone scarico, IPad scarico. Posso caricare la mia batteria esterna ma poi non ci posso attaccare nulla per mancanza di cavo. Mi aggiro disperato nella notte di Cachi. Nel paese è assolutamente impensabile , mi ha detto il ragazzo dell’albergo don Arturo brutto, che possa trovarsi un cavetto per IPhone 6, che dio stramaledica la Apple. Pensando alle foto che non farò domani mi fermo davanti ad una vetrina (ebbene sì, a Cachi esistono le vetrine) e lo vedo: è lui, è il cavetto e mi guarda. Vicino a lui c’è un altro cavetto. Mi precipito piangendo dalla commessa, li compro tutti e due lasciandola interdetta, il tutto per 7 euro. In Italia nemmeno i cinesi…vado a letto tranquillo con tutte le lucette accese.
Lascio Cafayate con l’autobus del Flecha Bus che parte con un ora e mezza di ritardo. Mi sento quasi come in Italia. Da Cafayate ad Angastaco, sempre ruta 40, strada da sogno in mezzo alle montagne. Tanto bella che la zona è stata battezzata Monumento Naturale di Angastaco. Ad Angastaco fine corsa, pranzo al comedor Pachamama (Madreterra) con milanesita nemmeno male a 65 pesos, cinque euro. L’unico alloggio (ospedaje) è poco attraente. Allora insieme a due ragazze di Barcellona, Priscilla psicologa e Natalia assistente sociale prendo una camioneta e proseguo. A Molino io mi fermo. Mi sistemo in un lussuoso albergo (Isasmendi) che sembra un convento, di fronte alla chiesa. Adatto per rilassarsi. Mangio e bevo benissimo e spendo pochissimo (12 euro). Dormire come un signorotto spagnolo, 70 euro.
Di ritorno dal Perito Moreno ci siamo fermati in una grande costruzione che ospita il museo dei Ghiacciai. Ma soprattutto ospita un incredibile bar di ghiaccio, di ghiaccio le pareti, di ghiaccio i tavoli, di ghiaccio i sedili, di ghiaccio i bicchieri che contenevano improbabili cocktail.Io mi sono accontentato del whisky, ho detto la scontata e banale battuta: “mi ci mette un po’di ghiaccio e poi assordato dalla musica a palla ho perfino ballato. Va bene, eravamo tutti ubriachi.
Da così
A così
Il ghiacciaio Perito Moreno è famoso non solo perché il bello, ma anche perché ogni cinque o sei anni si rompe il tunnel. Ma prima lasciatemi dire che io credevo che si chiamasse Petito Moreno. Quando ho saputo che si chiamava Perito ho pensato che ci fosse morto Moreno. Niente da fare. Errore. Si chiama Perito perché il signor Moreno, che tanto ha dato alla definizione dei confini tra Cile e Argentina, era un perito, appunto. Come se noi avessimo battezzato Ragionier Cervino, Geometra Marmolada. Insomma, il tunnel. Il Perito Moreno è forse l’unico ghiacciaio al mondo che invece di arretrare, si allunga. Allunga oggi allunga domani il fronte si è andato ad appoggiare ad una specie sperone collinare davanti a sé. Combinando un pasticcio perché così facendo ha d’uso in due il lago sotto di sé. Il lago a destra col tempo si rifornisce di una maggiore quantità di acqua rispetto al lago di sinistra. E col tempo si alza anche di dieci metri. Il risultato: l’acqua fa pressione e dopo un po’ a forza di infiltrazioni crea un tunnel. Questo tunnel non si vede finché la volta cede al peso del ghiaccio e all’erosione dell’acqua, La rottura è uno spettacolo al quale assistono migliaia di spettatori che bivaccano in zona nell’attesa. E qui interviene la Sfiga Patagonica che ha colpito il nostro gruppo. Il giorno che siamo stati davanti al Perito Moreno nulla faceva presagire il fattaccio. Ma il giorno dopo la televisione ha dato la notizia dell’improvvisa rottura. Per consolarmi pubblico tutte le foto, del Perito Moreno e degli altri favolosighiacciai , Upsala e Spegazzini
Avete ragione a scrivermi che vi trascuro e che non pubblico fotografie e che non vi racconto abbastanza. Ma credetemi non è facile farlo da Angostaco (ammesso che si scriva così) o da Cafayate. Passo ore inutilmente a tentare la connessione e le foto poi sono pesanti. Adesso sono a Molino, in un albergo wifidotato. Sono le quattro di notte e vediamo se riesco a farvi vedere qualcosa. PIMIENTO A SECCARE SULLA STRADA PER MOLINO
CHIESA DI ANGASTACO
SULLA RUTA 40
A CAFAYATE COSTRUISCONO CASE COSÌ
A CAFAYATE SONO ANCHE MOLTO SPIRITOSI
ANCHE A SALTA SONO MOLTO SPIRITOSI
MI ERO DIMENTICATO DI DIRVI COME SI PARCHEGGIA A BUENOS AIRES
IL MONUMENTO CHE MI È PIACIUTO FI PIÙ, A SALTA
Dormo come un sasso dodici ore nella casa di Rosa Terrazza a Cafayate. Passeggiata di due km risalendo il torrente. Ammiro i sistemi idraulici dei contadini per catturare l’acqua. Pranzo con rosa e i suoi parenti, il figlio Silvestre, la novia del figlio, Janina. Mangiamo una zuppa di mais, poi una ciacra che è un grosso involtino fatto con foglie di mais contenenti mais macinato, con un condimento che si chiama albaca. Poi passeggiata con Silvestre e Janina fino alla bodeguita di Miguel e di Teresa dove fanno il vino, il Torrentès, bianco, e il Malbeq, rosso. Siamo circa a 1600 metri sul livello del mare, ma le vigne sono anche a 2600. È il sole, 340 giorni l’anno, e la grande escursione termica, anche 20 gradi fra giorno e notte, insieme alla terra, arena sopra e sassi sotto , e il clima secco che fanno il miracolo del vino più alto del mondo, el vino de altura. Io mi innamoro del Torrentès. Pomeriggio a sparare cazzate in spagnolo con Carmen e Enrique, che hanno un hospedaje, un alloggio, in cima ad un cucuzzolo. Lo spagnolo non lo so ma le cazzate le gestisco in tutte le lingue. Mi aiutano quattro ospiti di Carmen, Ramiro, Miquel, Sara e Anastacia. Si, Anastacia, una russa che ha sposato uno spagnolo in Italia e che sa un sacco di parolacce in italiano. Silvestre somiglia ad Albano e gli facciamo cantare Felicità. Enrique tira fuori una specie di tamburello e canta: “Soi de Salta, yago falta, alegrate, Cafayate” e tutti a ridere. Silvestre mi aiuta a riconoscere un albero protetto con il quale si fatto i mobili e mi sembra anche le botti, si chiama Algarrobo, con i semi si fa la farina per il pane patay ooppure si nutrono i maialini. Miguel mi sorprende spiegandomi che le barbatelle non sono innestate su uva americana. Le nuove piante sono semplicemente delle talee realizzate con tralci. Quattro gemme sotto terra e due sopra. Ma che volete sapere voi che non siete dei produttori di vino come me? Finisco la giornata a Cafayate, al museo del vino e poi alla cerveceria, più che altro per la connessione internet. La grande ossessione di questo viaggio.
Primo giorno
Sono solo. I miei dieci compagni di viaggio tornano in Italia ed io prendo un volo alla massacrante ora delle sei e cinquanta (sveglia alle quattro) per Salta, nord ovest di Buenos Aires. Salta è una cittadina coloniale spagnola dove gli abitanti sono come io immagino fossero gli incas. Alla faccia dei commercianti borghesi italiani ai quali viene l’orticaria appena sentono parlare di isola pedonale, a Salta il centro è chiuso al traffico e c’è un casino per le strade affollatissime di gente che passeggia, compra, consuma. Nella piazza grande centrale, tipica dell’urbanistica coloniale spagnola, c’è un notevole seppur piccolo museo dell’archeologia di montagna (si parla dell’aconcagua quasi 7 mila metri), delle cime sacre, della rete stradale rituale andina, dove sono conservati ed esposti i corpi dei due bambini e della donzella, che furono sacrificati 500 anni or sono agli dei e che sono giunti intatti fini a noi, scoperti nel 1999. Prendo il bus a due piani che mi porta a Calayate su una strada che scende in una stretta valle rocciosa e rossissima. Faccio tantissime foto e tantissimi video anche se non sono riuscito a conquistare una delle quattro poltrone strategiche, in alto e davanti, sopra l’autista..
Arrivo a Calayate e mi perdo, naturalmente. L’autista che doveva ricevermi alla stazione non c’è, è in ritardo. O meglio il bus è in anticipo. E comunque non è lui perché lui, Omar,mi ha comprato da Carlos che ė al capezzale della madre “enferma”. Arrivo in ogni caso nella casa rural di rosa, figlia di Teresa, dopo aver assistito con invidia ad una tombola in piazza. Decido che domani la tombola non me la perdo. Mangio con rosa, insalata fresca e un piatto di polpette, i “cupi”.
Vi avevo promesso che vi avrei raccontato il mio viaggio in Argentina e l’ho fatto solo saltuariamente. Diciamolo: non era facile, connessioni difficilissime, tempi di viaggio incompatibili, spesso stanchezza. Adesso cerco di recuperare. I miei compagni di viaggio sono in volo per l’Italia, io sto aspettando il volo che mi porta a Salta, nord ovest. Posti, sembra, favolosi.