Il mio amico Giampaolo Osele, tartufaro, fungaiolo, architetto, scultore, velista, deltaplanista e tante altre cose, che oggi purtroppo non c’è più, rispose così al mio discorso sul cenino di capodanno, quattro anni fa.
da Piervittorio Porciatti
La Mannoia è una furbetta, vive in un paese libero, si è spostata a piacimento, esprime opinioni senza subirne conseguenze. Le faccio io una domanda: Sa cosa vuol dire vivere in un paese di sinistra, anche Italiano e avere idee liberali ?
Vi ricordate quando abbiamo parlato di destra e di sinistra? Di quelli che sostengono che non esistono più destra e sinistra? Io sostenevo che non è vero. Che destra e sinistra sono due concetti ancora esistenti e precisi. E che se qualcuno dice che non esistono, vuol dire che è di destra. Bè, oggi vorrei tornare sull’argomento e parlare di qualcosa di molto simile. E cioè: se sei di sinistra vuol dire che non ti piacciono quelli di destra? Un problema mica da poco. Io per esempio sono convinto che esiste una destra becera e una destra accettabile. Mi piacerebbe vivere in un Paese in cui esistesse una destra onesta, sopportabile, pulita, perbene, corretta, che crede in valori diversi dai miei ma intellettualmente rispettabile. Purtroppo sono nato un po’ tardi e mi sono beccato la destra affaristica berlusconiana, la destra fascista del Msi e la destra becera e qualunquista leghista e, peggio ancora, salviniana. E adesso vi faccio la domanda delle cento pistole: c’è qualcuno di destra che vi piace? A me una volta piaceva Crosetto ma oggi non più, sopportavo Giorgia Meloni ma oggi non più. Pochi altri, ma oggi non più. Se vivessi in una società dove destra e sinistra condividono almeno alcuni principi fondamentali della convivenza (non so: non si spara ai ladri, si ospitano gli emigranti che scappano, si aiutano i poveri, si fanno pagare le tasse soprattutto ai ricchi e cosucce del genere) mi sarebbe più facile dialogare con qualcuno di destra. Ma così non è. Io una volta la domanda cruciale l’ho fatta a Fiorella Mannoia. Era il 2 ottobre 2001, venti anni fa. Fiorella come prima cosa mi disse quelli che non le piacevano a sinistra, Agnoletto, Casarini, Diliberto, un po’ anche Bertinotti (“non gli perdono di aver fatto cadere il governo Prodi”). Poi… Fiorella, c’è qualcuno di destra che ti piace? Rispose: “Non lo so. Ci devo pensare. Non mi viene in mente nessuno”. Ti telefono domani e me lo dici? “No, è inutile. Non mi verrà in mente nemmeno domani”.
E a voi? Viene in mente qualcuno, se non oggi, domani?
da Muin Masri
Sono gli stessi del 2020 e degli anni precedenti: mangiare tutti i dolci del mondo senza ingrassare, riuscire a fare sport ogni giorno, non smettere mai di fare l’amore, non lamentarmi con i ragazzi, non avere più paura dell’estratto conto, montare un mobile Ikea al primo tentativo, fare a meno del dentista, avere pazienza, fare un corso di tango, imparare a fare i tuffi da 3 metri, fare la capriola all’indietro, ricordare il primo bacio, avere 7 figli, comprare l’Harley Davidson, cantare senza vergognarmi, vincere una maratona, andare a capanna Margherita, non sbagliare gli aggettivi e i verbi, tornare a Nablus per le feste, far crescere baffi e capelli, vedere una vera pace tra Israele e Palestina prima di morire, augurare ai dittatori di avere la diarrea permanente e perdere per sempre l’uso della parola, vincere il premio Nobel, scrivere una poesia, imparare a fare l’elettricista e il meccanico, capire la musica classica, guardare un aereo in cielo senza paura di vederlo precipitare, imparare l’arte della fotografia, rapinare una banca, andare a cena con Tilda Swinton, rinascere in Africa, rivedere Baggio tirare il rigore ma senza sbagliare, non parlare di politica, non criticare la sinistra, viaggiare nel tempo, smettere di prevedere il futuro e di dire cazzate. Amici, vi auguro un nuovo anno bello come un neonato, caldo come il petto di una madre, profondo come il mare, immenso come il deserto, palpitante come una donna innamorata, leggero come una farfalla, eccitante come il primo bacio, sincero come un nonno, colorato come il tramonto, pacifico come una balena, ricco come il cielo, felice come una sposa, elegante come un colibrì, profumato come la mimosa.
Sono le 22.40. Mia sorella mi ha già telefonato per farmi gli auguri di buon anno. Mi dice che si stanno mettendo ai fornelli e poi mangeranno il cenone e poi giocheranno a burraco. Io le dico che abbiamo finito di mangiare due ore fa e che stiamo andando a letto di corsa per evitare i botti che spaventano tanto la piccola Billie. Il nostro cenone è stato molto modesto. E mi ha ricordato quello del 2016 quando reduci dall’australiana (vi ricordo, vomito e cagotto, tanto per fare sfoggio di raffinatezza) mangiammo talmente poco che lo ricordiamo ancora anche perché lo battezzammo “il cenino”. Brindammo ad acqua minerale NON GASATA. E festeggiai anche con un post che vi riporto qua di seguito tanto per farvi felici.
IL CENINO DELL’ULTIMO DELL’ANNO
Reduci entrambi dall’australiana, io e mia moglie, accuditi da Billie, abbiamo deciso di prepararci soli soletti un cenino dell’ultimo dell’anno. Carote, finocchi e sedano in pinzimonio più tre fette di prosciutto. Brindisi con acqua semplice e una fetta di torta. Adesso aspettiamo i botti, non perché mi piacciano ma perché fanno paura a Billie. E poi a dormire. Che meraviglia.
Incredibile, ci furono dei commenti. Antonia scrisse: “Anche se io e mio marito non abbiamo avuto l’australiana abbiamo deciso di restare a casa con cime di rapa e affettato dei Sibillini. Buon anno”.
Buon anno. Cime di rapa, che meraviglia. Sono ormai le 22.51. Debbo sbrigarmi se voglio andare a letto prima dei botti. Ma non posso esimermi dal riportare anche il post che avevo pubblicato per Natale, quando festeggiai a Perugia da mia sorella (che nel frattempo spero abbia finito di cucinare e si appresti a servire a tavola): Ecco il post.
UNA FAMIGLIA DI UNTORI EFFICIENTI
I tre piccoli bambini tanto simpatici e tanto carini abitano a Corciano e da quelle parti si beccano la influenza australiana. Vomitano tutto il vomitabile (ci sarebbe anche il cagotto ma non posso stare a raccontarvi tutto, anche se l’argomento è di quelli che catturano l’attenzione e stimolano l’empatia) e come in un gioco di società passano il batterio alla zia, alla nonna, alla bisnonna centenaria e alla badante della bisnonna centenaria. La nausea, e il cagotto, si spostano ma rimangono sempre in famiglia e sempre nella dolce Umbria. A questo punto, come un pirla, arrivo dalla capitale io, che sarei il figlio della bisnonna centenaria, il fratello della nonna e lo zio della zia. Grande pranzone di Natale e, la notte, arriva il mio turno. Non prima però di un burraco con gli amici umbri. Gli untori della mia famiglia smettono di essere i tre piccoli bambini e io mi assumo il gradito compito si diffondere l’australiana. Forse sono proprio i batteri a darmi la forza di arrivare terzo al torneo di burraco. A questo punto parto, su un treno Italo, e risalgo lo stivale. A Lavarone mi aspettano Penelope, Billie (pastora australiana che se ne frega perché la malattia è roba del suo paese), mio figlio, due giovani tedeschi e un boxer di nome Boris. Il tempo di salutarli da lontano e mi infilo nel letto. Ma l’australiana è più veloce del vento. Il giorno dopo fa finta di non esserci ma la notte fa il suo dovere e colpisce inesorabilmente mia moglie. Mio figlio e i tedeschi se la danno a gambe per tempo e scappano a Camogli. Ingenui. Stamattina arriva la notizia che all’australiana non la si fa. Due su tre passano la notte in bagno. E’ tempo di bilanci. Come untori io e i miei famigliari siamo al top. Ma abbiamo fallito, almeno per ora, i partecipanti del torneo di burraco che non mostrano sintomi (credo che abbiate capito ormai di quali sintomi si tratti) e, a quanto ne so, sembra che siano scampati anche i viaggiatori del treno Italo. Le telefonate si intrecciano anche se i particolari fanno schifo. Leggo sul giornale che in Italia siamo più di un milione in queste condizioni. Vi prego solo di non dare tutta la colpa a me. Sono stati quei mascalzoni dei tre piccoli bambini di Corciano a cominciare.
Ecco quanto vi dovevo per farvi partecipi dei miei fantasmagorici festeggiamenti di fine anno. Si è fatto tardi. Sento i primi botti. Billie si è già ficcata sotto il piumone con le zampe sulle orecchie. Anche quest’anno l’ho sfangata. Voi continuate pure a fare gli stronzi con champagne e panettoni.
Ti trovi al volante della tua auto e circoli ad una velocità costante. Alla tua destra c’è un precipizio. Alla tua sinistra un camion dei pompieri che viaggia esattamente alla tua stessa velocità. Davanti a te corre un maiale visibilmente più grande della tua macchina. Davanti al maiale corre un uccello grande quanto il maiale che, ovviamente, corre alla stessa velocità del maiale. Dietro di te, invece, segue un elicottero che vola raso terra. Gli ultimi due, sono due cavalli che trainano un calesse, anch’essi alla tua stessa velocità. RISPONDI Come fai per fermarti?
Non è poi così difficile. Comunque la risposta, da scompisciarsi dalle risate, è qua sotto:
SCENDI DALLA GIOSTRA E VAI A LAVORARE, SCANSAFATICHE!
Capitò che, dopo che avevo intervistato 500 persone, a qualcuno venne in mente di intervistare me. Lo fece Anna Tagliacarne, per Grazia. Conflitto di interessi gigantesco. Anna era stata mia redattrice a “Cuore”. L’intervista venne bella. Titolo: “Ho vinto il concorso bimbi belli”
Quando ha iniziato a scrivere, lo pagavano 100 lire a notizia. Poi ha fatto l’inviato per i maggiori quotidiani e riviste italiani. E’ stato uno strambo direttore: non a caso gli editori preferiscono che scriva. E’ passato dalla direzione di Sette (ora Magazine del Corriere della Sera) a quella di Cuore, a quella Gente Viaggi. Si è persino adagiato sulla poltrona di Padreterno (con tanto di barba bianca) a Bombay, il programma di Gianni Boncompagni su La7. Di certo, Claudio Sabelli Fioretti è il più noto tra gli intervistatori d’Italia. Con intelligenza e un’infinita faccia di bronzo ha affettato politici e giornalisti, attrici e industriali. Stavolta, però, tocca lui dire la sua.
Mai avuto voglia di strangolare un intervistato? «Sì. Alain Elkann. Ha interrotto l’intervista a metà, non ho mai capito per quale ragione. Forse per non parlare degli eredi Agnelli. Poi mi ha telefonato 37 volte chiedendo se ero incazzato. Ho fatto il signore e ho detto di no. Invece ero una iena». La persona che ti ha fatto faticare di più? «Ciriaco De Mita, per via del suo linguaggio pazzesco. Ho impiegato il doppio del tempo per tradurlo». E qual è stata la più maleducata? «Michela Brambilla. E’ arrivata con un’ora di ritardo». Il più simpatico? «Sandro Bondi. Esistono due Bondi: quello che ho conosciuto io, gentile, e quello che appare in tv, orrendo. Uno è l’imitatore dell’altro». Cos’ha fatto per stregarla? «Si è mostrato per quello che è. E mi ha fatto vedere tutto: anche il Mausoleo del Cavaliere, che abbiamo visitato Montanelli, io e forse Giorgio Bocca. Il buon Bondi non lo ammette, ma soffre perché non è previsto un loculo per lui tra quelli di Dell’Utri, Previti, Confalonieri eccetera». La persona più antipatica? «Un’attrice. Ida De Benedetto. Non voleva che l’intervista fosse pubblicata e ha chiamato persino Cesare Romiti, che a sua volta telefonò a me dicendo “Ma questa chi è?”. Ovviamente il pezzo uscì». Mai trovato in imbarazzo durante un’intervista? «Bè, sì. Con Carla Bruni. Mi raccontava che dietro le quinte quando una modella si spoglia e si riveste i sarti la toccano da tutte le parti. Per farmi capire meglio mi toccava». Carla Bruni l’ha toccata? «Sì, sono stato toccato da Carla Bruni». Dove? «In parti lecite. Le spalle. Le gambe. Il viso. La pancia. Io sono arrossito tantissimo». La sua migliore intervista? «Dicono sia l’ultima. Quella al Principe Carlo Caracciolo, sul quotidiano La Stampa. Ma non posso essere io a dirlo». Quella che non avrebbe voluto fare? «Sergio Japino. Ho dimenticato a casa le quattro cartelle di domande che avevo preparato. Il risultato è stato il vuoto pneumatico. Vuoto io, vuoto Japino. Non feci uscire nulla. Nessuno seppe mai che avevo fatto un’intervista di merda». Chi non ti si è mai concesso? «Tanti. Silvio Berlusconi, Lilli Gruber, Vincenzo Mollica, Henry John Woodcock». Avevano paura? «E’ un diritto rifiutare le interviste. Per un magistrato è più comprensibile, ma, nel caso dei colleghi, lo capisco poco. Al Cavaliere ho mandato messaggi, mail, gli ho telefonato, gli ho parlato tramite i familiari, mi sono fatto raccomandare da Bondi e da sua figlia Barbara. Deve pur aver visto che non sono un molestatore. Ma credo che preferisca parlare con giornalisti amici suoi». Il più voltagabbana dei voltagabbana? «Maurizio Bertucci, giornalista Rai. Era passato da Forza Italia all’Udeur, e mi aveva detto che era stato un grande travaglio. Un mese dopo passò dall’Udeur a Forza Italia. Doppio travaglio». Le hanno mai dato del voltagabbana? «No». Nemmeno una donna? «Le donne mi hanno sempre lasciato. Sono loro le voltagabbana». Che effetto fa interpretare il Padreterno per in tv? «Magnifico! Andavo alla posta e mi dicevano: “Qui ci vorrebbe lei per sistemare tutto”. Il bello è che mi sono immedesimato. Passavo per strada, sentivo uno che diceva la parola Padreterno, e mi voltavo». Perché l’ha fatto? «Narcisismo puro». Il più grande errore di valutazione su una persona? «Walter Veltroni. Pensavo che rappresentasse l’ala buonista della sinistra. Invece è perfido». E’ stato definito impertinente, schietto, anticonformista, inaffidabile per gli editori, un po’ scentrato: in quale di queste definizioni si ritrova? «Schietto no. Anticonformista forse, in mezzo a tanti conformisti. Impertinente no. Inaffidabile per gli editori, in parte sì. Un po’ scentrato? Questo è vero». Prima le hanno detto: “Sei il Dna del giornale”. Poco dopo non scriveva più sul “Magazine” del Corriere. «Forse stato l’unico caso in cui il Dna se ne è andato dal corpo e il corpo se n’è fottuto. Gli editori sono così». Il primo voto? «A scuola ero DC, in quanto chierichetto di Cristo Re. Ma per diventare ateo il primo passo è proprio quello. Il primissimo voto fu liberale. La conversione avvenne nel ’68, quando arrivai a Milano, dove sono diventato un pericoloso comunista». Poi è sempre stato di sinistra? «Sì. Anche se, quando mi sposai per la prima volta, con Francesca, che era liberale, facemmo una media. Lei non votò liberale e io non votai comunista. Tutti e due Pri. Che vergogna». E poi? «Sempre sinistra del Psi. Da Lotta Continua, al Pdup, al Manifesto a paccottiglia varia». Lei ha detto che è più divertente intervistare quelli di destra, perché? «Quelli di sinistra sono sempre tutti corretti e perfettini. Quelli di destra sono cialtroni, pieni di complessi, Pur di apparire dicono di tutto». Com’era da bambino? «Bellissimo. Avevo i riccioli e mia mamma era orgogliosa perché, a quattro anni, vinsi il concorso “Bimbi Belli” di Riccione». Era buono? «Buonissimo. Ma, se facevo qualcosa, mia madre picchiava mia sorella, che, per questo, ancora ce l’ha con me». Adesso, almeno, è un uomo maturo? «Sì, ma da poco». Ci soffre? «No. Maturo non significa prudente». E che vuol dire? «Vedere bene le cose. Per esempio, guadagnare la metà e fare un anno sabbatico». Facciamo il gioco della torre, come nelle sue interviste. Butterebbe Paolo Mieli o Eugenio Scalfari? «Scalfari». Perché? «Quando mi accorsi di aver sbagliato, lasciando La Repubblica, telefonai a Gianluigi Melega e gli dissi: “Torno in ginocchio con il capo cosparso di cenere”. Lui andò da Scalfari, sentii i suoi passi in diretta. Tornò e riferì: “Neanche morto”. E io neanche morto tornerei in un giornale diretto da lui». Preferirebbe diventare molto ricco o molto bello? «Sono già molto bello. Non mi resta che molto ricco».
da Gianni Guasto
(grazie ad Antonella Giunta)
Quando avete avuto un episodio di vomito e siete ricorsi al Plasil in siringa senza chiedervi che principio attivo fosse, né a cosa servisse, ma pretendevate di averlo senza ricetta perché “mia zia quando vomita prende sempre questo”.
Quando avete sentito pizzicare la gola e avete preso un Augmentin perché “una volta l’ho preso e mi è passato subito”
Quando avete avuto la cistite e siete corsi in farmacia a prendere il Monuril perché “il mese scorso mi è successo di nuovo e con il Monuril ho risolto”.
Quando prendete 4 o 5 Tachipirina da 1000mg perché “eh ma la febbre non scende”.
Quando prendete il Pantorc perché “ho mal di stomaco”.
Quando pretendete di avere Xanax perché “la mia amica lo usa per dormire”
Quando chiedete il Toradol perché “se ho un dolore prendo sempre questo e mi passa”
Quando siete corsi disperati in farmacia a fare scorte di Vitamina C, di Plaquenil, di Zitromax, di lattoferrina, di Clexane perché in TV hanno detto che curano il Covid.
Potrei continuare all’infinito, ma non vi siete mai chiesti cosa sono tutte queste scatoline colorate, a cosa servono realmente, perché si usano, gli effetti collaterali che potrebbero avere, le conseguenze nel lungo periodo, ecc ecc.
Ve li ha consigliati l’amica, li avete visti a casa di vostra zia, ne ha parlato Barbara D’Urso… Tutta gente senza un minimo di competenza scientifica.
Poi un team mondiale di ricercatori studia e sperimenta un vaccino per una pandemia globale, ma “io non me lo faccio perché chissà cosa c’è dentro”
Ci scriveva allegro e scanzonato. Era uno di noi. Non perdeva occasione per prendermi in giro. Io non sapevo niente di lui. Non sapevo che da quando aveva 12 anni gli era stata diagnosticata una malattia terribile. Non sapevo che era immobilizzato in un letto, che non poteva muovere nulla, che respirava grazie alla tracheotomia, che tutto quello che faceva lo faceva grazie a sua moglie, Mina. Poi, pian piano, ovviamente, cominciai a capire. Sentite che cosa scriveva Mina: “Gli piaceva prendere in giro Claudio che ancora non sapeva del suo stato fisico. Ricordo vagamente che Claudio lo aveva invitato a Salina. Naturalmente, mi pare, Piero aveva trovato una scusa. Si inventava ricette gustose e vi abbinava preziosi vini. Raccontava delle balle tremende su cosa mangiasse e quali vini bevesse. Povero Piero, davvero, erano anni che non poteva più mangiare nemmeno le cose più semplici”. Piergiorgio Welby divenne un caso nazionale. Non ce la faceva più, voleva staccare la spina. Ma non glielo consentivano. Scrisse ai direttori di tutti i giornali. Scrisse al presidente della Repubblica. Giorgio Napolitano. Divenne una bandiera di tutti quelli che pensavano che ognuno avesse il diritto di disporre della propria vita. Scrisse un libro, “Lasciatemi morire”. Alla fine ottenne che un medico anestesista pietoso e coraggioso lo aiutasse. Era il 20 dicembre 2006. Una data che ricorre in questi giorni. Come ricorre la data della sua nascita, esattamente oggi, ma di 75 anni or sono. La Chiesa gli negò i funerali religiosi con una strana motivazione. “Il suo suicidio è stato concepito e realizzato con l’obbiettivo di promuovere una legge sull’eutanasia”. Cioè: prima la politica e poi il vangelo. Piergiorgio rimase carico di umorismo fino alla fine. A chi stava organizzando la sua “dipartita” disse: “Fatelo dopo la trasmissione dei pacchi, non voglio perdermi Affari tuoi”. Sul suo sito personale, il Calibano, che sua moglie Mina continua (su sua richiesta) a mandare avanti, aveva pubblicato una divertente poesia.
Camminavi ancheggiando percorrendo il viale guardando l’andatura ho detto mica male
quando ti sei seduta ordinando un caffè vuoi vedere ho pensato che aspetta proprio me
mi sono accomodato li davanti a te dall’interno veniva il ritmo di una samba
io piano ti strusciavo la gamba con la gamba tu rimanesti altera pensai che donna in gamba
che splendida emozione che donna eccezionale tu mi dicesti attonita senta la vuol piantare
non vede che mi svita la gamba artificiale?
In questi giorni, così legati alla nascita e alla morte di Welby, ho voluto ricordarlo a vantaggio di tutti quelli che lo conobbero attraverso il nostro blog, e di coloro che non sanno nemmeno chi fosse. A loro consiglio di leggere i suoi due libri, “Lasciatemi morire” e “Ocean terminal”, e il libro di sua moglie Mina, “L’ultimo gesto d’amore”. E perché no, anche il libruccio che noi del blog gli dedicammo (“Ciao Welby”), raccogliendo tutti i post che ci aveva mandato, attaccando i politici che non gli piacevano (soprattutto Sirchia), interagendo con tutti noi, parlando di politica in maniera arguta e divertente, dibattendo sull’inconcepibile aumento del prezzo del cetriolo, e naturalmente prendendomi per il culo. Nel pieno dell’insopportabile male che lo costringeva a vegetare, mi scrisse: “Caro Claudio, capisco la tua sofferenza, stare a Salina deve essere duro”. Piero (questo era il nome con il quale lo chiamavano gli amici e sua moglie), era allegro, spiritoso, ironico, leggero. E lo è stato fino alla fine. Ci scrisse: “Celio, celio, un po’ per gioco e un po’ per non morire”.
Diciamolo: c’è anche un piccolo attimo di tensione. È quando ho la pessima idea di poggiare il mio zainetto nero contro il muro del villino di Maria Angiolillo e mi allontano. Sono proprio un deficiente. Esce il maggiordomo asiatico preoccupato e dice educatamente: «Lo zainetto. Può spostarlo?». Il maggiordomo asiatico è saggio. Fra qualche minuto arriverà il ministro degli Interni, mica bruscolini. Il maggiordomo asiatico è piccolo ma ben piazzato. Mi ricorda quel tipetto che in Goldfinger lanciava la sua bombetta, arma terribile, capace di tranciare la testa a chiunque. Per tutta la serata, dalle nove a mezzanotte il maggiordomo asiatico sarà il mio unico punto di contatto con Maria Angiolillo, vedova del mitico Angiolillo, proprietario del Tempo di Roma, quando il Tempo era un giornale famoso, autorevole, luogo di grandi firme e grandi giornalisti. Comincia così la mia prima esperienza di giornalista embedded, incastonato nel più importante rito della mondanità politico-economico-ecclesiastico- giornalistica romana, bivaccando davanti al portone che una volta al mese 35 vipponi oltrepassano per presentarsi al desco del salotto più famoso d’Italia, apparentemente per mangiare e conversare amabilmente, in realtà per recitare la parte di coloro che decidono le sorti di questo nostro angosciato Paese. Sommo officiante del rito è Umberto Pizzi, fotografo di Zagarolo, il quale insieme al fratello Mario, aspetta davanti al portone i vipponi e li blocca sui megapixel della sua Nikon. Sono quattro anni che Pizzi partecipa a questa sceneggiata. Qualcuno a volte protesta ma i più lo considerano parte del programma. Romiti, Fini, Prestigiacomo, Rossella, Calabrese, Tatò, Raule, Gasparri, D’Urso, Scajola, Andreotti, Bongiorno, Del Noce, Pera, Buonamici: la Roma che conta, una volta al mese, si attovaglia, come direbbe Dagospia, attorno ai tre tavoli da dodici dell’anfitriona Angiolillo. Ma prima e dopo la cena, come fosse un antibiotico, si beccano il Pizzi.
Ed io sono con lui, stasera, tra la sorpresa degli illustri invitati. Mentre li aspettiamo (arriveranno, alla spicciolata, scendendo una ventina di gradini, a partire dalle nove), Umberto mi spiega qualche particolare del rito. Le donne arrivano quasi sempre per prime, spesso single, elegantissime. Gianni Letta è solito arrivare per ultimo. Solo a lui è consentito il ritardo, gli altri vengono sgridati. Lui, Francesco Caltagirone e Sandra Carraro ci sono praticamente sempre. Abbonati. I cuochi arrivano da fuori. Davanti al portone staziona un maresciallo in pensione a garantire l’ordine pubblico. Gli invitati vengono preceduti quasi sempre dal fioraio che porta tre composizioni floreali per il centro tavola. Ma come fai, dannato Pizzi, a sapere sempre la data della cena?
«Questi sono segreti professionali», spiega il Robert Capa della Ciociaria. «Maria ci patisce. Non è mai riuscita a scoprire la spia. A volte è l’argomento principale della conversazione». Una volta, durante una cena a metà fra un’autocoscienza e una simpatica serata nei sotterranei della Stasi, misero in mezzo il povero Mario D’Urso, convinti che la talpa fosse lui. E lui se la prese con Pizzi. «Ma io non cederò mai. L’ho detto anche a Maria: te lo dirò quando andrò in pensione chi è la spia». L’occhio vigile di Umberto si agita. La Nikon freme. Arrivano. Non sono nemmeno le nove. È Ademaro Lanzara, vicepresidente della Bnl. Deve parlare con Maria e si ritaglia una decina di minuti. Ma prima spiega a Pizzi: «Stasera poca gente e poche donne». Alle 21 in punto arriva l’«antipatico» Maurizio Belpietro, direttore del Giornale. Si meraviglia di vedermi. A tutti darò la stessa spiegazione alla quale gentilmente faranno finta di credere: «Sto scrivendo un libro su Pizzi». Arriva Consolo, l’avvocato di An. Mi guarda perplesso e poi si ricorda che l’ho intervistato qualche anno fa. Poi Sandra Carraro, Francesco Caltagirone, Antonio Polito. Un momento di imbarazzo. Tre turisti di Germania, dio stramaledica i tedeschi, gonfi di birra, si piazzano davanti al portone di villa Angiolillo, si aprono la patta, tirano fuori l’apposito arnese e – scusate, è solo per completezza dell’informazione – pisciano. Ettolitri. Esce il maggiordomo asiatico, protesta inutilmente e poi in perfetto slang di Tor Pignattara, si esibisce in un sonoro vaffanculo. Gli arrivi si susseguono. Sempre più potenti. Vegas (sottosegretario di Tremonti), Beretta (Confindustria), Bruno Vespa e signora che passano oltre come Magnaschi, direttore dell’Ansa. Ferruccio de Bortoli, in grande spolvero di fisico e di abito. Si ferma e ci chiede: «Siete una nuova coppia?». Alle nove e venti cominciano a calare giovanotti neri con occhiali neri, vestiti neri e tubini che escono dagli orecchi. Guardie del corpo. Cinque. Preannunciano l’arrivo di Pisanu con signora. Buonasera ministro. Silenzio. Pizzi mi aggiorna: è di poche parole. La moglie di Pisanu rimane indietro. Lui la chiama: «Aiò». Un vero pastore sardo. Ecco De Bustis, Deutsche Bank. Siamo quasi al completo. Con un certo ritardo arriva Massimo Franco, notista politico del Corriere della Sera. Ultimo, come al solito, Gianni Letta. Gentilissimo, come al solito, rallenta per favorire il fotografo. Fine del primo tempo. Gossip: sembra che Magnaschi stia dicendo a Maria Angiolillo: «Ma che fai, lasci fuori della porta Sabelli Fioretti?». E lei, splendida, ineffabile: «Ma chi la conosce questa Isabella Fioretti!». E dà inizio alla cena. I magnifici diciotto si siedono attorno ad un tavolo ovale e fanno fuori paté di foie gras, faraona con farro castagne e patate, ricotta con miele, spumone di nocciola.
A destra di Maria si siede Pisanu, a sinistra Letta. Si parla di Lapo, naturalmente. Consolo lo accusa e Beretta lo difende. Pisanu anticipa che la riforma elettorale passerà alla grande. Tutti si dichiarano contrari alle quote rosa. Vegas si esibisce in tagli alla finanziaria. Sandra Carraro cerca di scoprire se qualcuno ha visto la trasmissione di Claudio Martelli e rimane delusa quando si accorge che è la sola ad essersela sorbita tutta. La serata è moscia. Finita la cena si sale in salotto. Massimo Franco monopolizza Pisanu in un salottino. In un altro salotto si forma un crocchio comandato da Vespa e Letta che hanno fatto i «padroncini» per tutta la sera. Sotto casa, seduto su un muretto, embedded a stomaco vuoto, sogno insieme a Pizzi una pizza. Mi dice: «Da un po’ di tempo il salotto si sta insinistrando». Chissà perché. «Prima veniva invitato solo Bersani. Adesso arrivano Fassino, Enrico Letta, Rutelli, Veltroni, Polito, perfino Bertinotti». È stata invitata anche la signora Ciampi, ma da sola e a pranzo. Non si vedono più Dell’Utri, Bossi, Castelli, Jannuzzi. Non devono essersi divertiti troppo. Comincia l’esodo dei supervip. Alle 23,30 esce Caltagirone e mi viene incontro. «Mi han detto che qua sotto c’era il famoso Sabelli!». Sono una persona a modo e ringrazio. Esce Pierluigi Magnaschi. Mi abbraccia e mi bacia. L’impietoso e bugiardo obbiettivo di Pizzi ci consegnerà alla storia delle coppie di fatto come sull’orlo di un appassionato french kiss. «Te ne vai con grandi notizie?», chiedo da gran furbetto. Lui è all’altezza: «L’Ansa le notizie non le trova, le porta». Escono alla spicciolata e si fermano a parlare. Mi spiega l’arguto paparazzo: «Quando entrano sono scortesi e distratti. Quando escono sono gentili e disponibili. Soprattutto se il cibo è stato cattivo e il vino buono». Arriva Consolo. Chiedo: «Chi c’è ancora dentro?» «È rimasto solo Pisanu che pontifica». Esce Bruno Vespa. «È più importante Porta a Porta o il salotto della Sora Maria?» Brunello non ha dubbi: «La mia è la Terza Camera. Questa è la Prima Camera». Via, tutti a letto presto stasera. Per qualcuno sarà una brutta nottata. Scriverà Dagospia che gli stomaci di Beretta, Belpietro, Polito e De Bustis protesteranno a lungo intasati dal paté. Io me ne vado a farmi una pizza col paparazzo di Zagarolo. Il mio stomaco embedded ringrazia.