da Mario Quaia
Ho avuto il Covid e sono guarito. Appena ricevuto il certificato di svincolo dalla quarantena (un documento ufficiale, eh!) ho pensato: adesso sono libero. Libero di che? Di niente, non è cambiato nulla, tutto è rimasto come prima. Anzi, no: sei penalizzato perché se chiedi di fare il vaccino ti mettono in coda: “Tu sei immune, non ti serve, hai già gli anticorpi”. Lo conferma anche Massimo Galli, il direttore del Dipartimento di malattie infettive del Sacco di Milano, ormai un volto noto della tv: “La probabilità di avere una seconda infezione è forse meno dell’1 per cento…”. Tra i Dcpm a raffica, le direttive quasi quotidiane del ministero della Sanità e delle Regioni mai una riga è stata dedicata ai guariti. In Italia sono già 1 milione e 750 mila, con un incremento giornaliero che varia dai 16 ai 20 mila. Eppure sono ignorati, è come se non esistessero. Stessi vincoli, stessi obblighi di chi mette in atto tutte le precauzioni per evitare il contagio. Per la strada, nelle fabbriche, negli ospedali, ovunque, non esiste alcuna corsia preferenziale. Devi andare all’estero? Hai l’obbligo di fare il tampone, anche se disponi del test sierologico che attesta la presenza di un esercito di anticorpi. Devi tornare in Italia? All’aeroporto, se vuoi evitare l’ennesimo tampone, devi dichiarare il falso, ovvero che ti sottoporrai a 14 giorni di quarantena fiduciaria. La possibilità che tu possa essere guarito e, quindi, immune non è nemmeno presa in considerazione. Un classico: becchi e bastonati.
da Eric Ranzoni
Stamattina qui a Londra dalla mia finestra ho visto questa scena; il postino (senza mascherina) viene goffamente malmenato da due ragazzini (senza mascherina) che lui aveva scoperto scavalcare un cancello. Una volta fuggiti lui chiama la polizia. Arriva la pattuglia, escono tre poliziotti, senza mascherina, e cominciano a parlare con la gente che si raduna attorno, tutti senza mascherina. Tutti a parlare a lungo a distanza ravvicinata l’uno con l’altro come se la pandemia non fosse mai esistita, nella citta’ piu’ pesantemente colpita in Europa dalla nuova variante del virus che ha fino al 70% di contagiosita’ in piu’.
Sai che ti dico? Exit! (csf)
Il 18 novembre del 2010 scrissi e pubblicai su questo blog un piccolo post che vado a ripetere e poi vi spiegherò il perché.
“Il tritacarne mediatico, la giustizia ad orologeria, la macelleria sociale, l’onestà intellettuale. Ci sono frasi che non sopporto più. Qualcuno le ha pronunciate una volta e adesso tutti imitano. Sembra che gli italiani abbiamo improvvisamente perso la fantasia. E non solo la gente normale, o magari i politici. Anche i giornalisti hanno abdicato al loro mestiere e non vogliono far fatica. Leggo di plessi scolastici, di squadre che vincono e non si cambiano, di partite deludenti dal punto di vista tecnico e agonistico. Non ne posso più di articoli che dicono che a pensar male si fa peccato come disse Andreotti. Odio le conventicole, i combinati disposti, quelli che fanno la differenza. Sento che finirò al nosocomio. Dove? Al NOSOCOMIO”.
E’ una battaglia che combatto da sempre. La battaglia contro il luogo comune. Cioè contro la pigrizia di chi non vuole fare la fatica di pensare frasi originali e si attacca a modi di dire inventati da altri ed adottati dalla maggioranza. Se c’è qualcuno fra voi che mi segue, sa che raramente (mai dire mai) ho scritto cose come “non si possono usare due pesi e due misure”, “ha iniziato un percorso”, “non so come dire”, “bisogna fare un discorso di un certo tipo”, “facevano bella mostra di sé”. Ai tempi della contestazione non c’era assemblea studentesca in cui prima o poi non si alzasse qualcuno a dire pomposamente: “Il problema è politico e in quanto tale va affrontato”.
Sì, vabbé, direte voi, ma tu che vuoi? Dove miri?
Miro soprattutto ad approfondire ed a scoprire i motivi di uno strano avvenimento di cui mi sono reso conto recentemente. Voi tutti sapete che Internet consente grandi miracoli. Per esempio consente di scoprire quali post sono stati fra i più visitati in un blog. Questo blog esiste da una ventina di anni. Sapete quale è stato il post più visitato di sempre? Quello di Alessandro Ceratti, intitolato “Onestà intellettuale (significato)”. L’ho scoperto un paio di giorni fa. Era il 29 maggio 2009. Questo era il testo dell’ottimo Ceratti:
“Secondo me onestà intellettuale significa essere capaci di riconoscere le ragioni (magari parziali) delle posizioni a cui ci si contrappone, significa valutare (magari negativamente) per quello che è e non per il simulacro che ce ne si ne fa le posizioni a cui ci si contrappone, insomma semplicemente fare di tutto per avere ragione, il che significa abbandonare rapidamente le posizioni sbagliate quando ci accorge che sono sbagliate, anche se sono le nostre posizioni, e anche se sono posizioni che ci fanno comodo”.
Bene, bravo. Condividiamo. Una valanga di visualizzazioni. Magari se le meritava. Ma sapete qual è il problema? Il problema è che queste visualizzazioni continuano ancora oggi. Ancora oggi il frutto della mente creativa di Cerrati è in testa alle classifiche. Da allora migliaia e migliaia di persone, per saperne di più, magari spinte da qualche improvvido motore di ricerca, si sono fiondate sul post di Alessandro Cerrati. A una media ancora nell’ultimo anno, di 25 al giorno. Media che non accenna a diminuire. Ancora ieri i desiderosi di addentrarsi nel “cerratipensiero” sono stati 32. Che cosa c’è dietro? Non lo so. Che sia lo stesso Cerrati che vuole entrare nel Guinness dei primati o, in alternativa, almeno nella storia?
Alla discussione su quale sia il significato di “onestà intellettuale” presero parte, allora, i migliori cervelli del blog, da Gianni Guasto a Natalino Russo Seminara, da Carlo Urbani a Primo Casalini, da Francesco Flavio D’Urso a Muin Masri. Io vorrei concludere questa inutile dissertazione con la frase lapidaria di Carla Bergamo (31 maggio 2009): “Io mi considero intellettualmente onesta. E con questo chiudo la discussione”.
da Muin Masri
Avete presente quel tizio che entra nello stadio travestito da tifoso, poi aspetta il momento cruciale per stracciarsi le vesti e correre nudo come mamma l’ha fatto lungo il campo da gioco? Gli addetti ai lavori lo rincorrono, l’arbitro si ferma incredulo, i giocatori ne approfittano per una pausa fuori programma e il pubblico è mezzo divertito e mezzo incazzato. Ecco, Matteo Renzi ha appena attraversato il campo di gioco nudo come la politica lo ha creato, un minuto prima del decisivo calcio di rigore.
Bellissima immagine: Renzi nudo a Montecitorio. Ma chi è l’arbitro? Chi sono i giocatori? Chi tenta di bloccarlo e soprattutto: chi vince? (csf)
da Silvia Palombi
Oh parole sante, ma chi ha una casa col riscaldamento, col frigo mediamente fornito, l’acqua che esce dai rubinetti senza dover fare chilometri per riempire le taniche, neanche doveva cominciare a frignare! Ci è stato chiesto semplicemente di stare a casa. Ho amici ristoratori e commercianti, per loro è più difficile, quando gli va bene e non sono costretti a chiudere o a cedere l’attività come hanno fatto alcuni, mandano a casa personale e quando ne parlano gli vengono i lacrimoni. Ma noi? Senza andare tanto lontano potevamo essere nati in Yemen, in Siria, in Palestina…
Immagina di essere nato nel 1900.
Quando hai 14 anni inizia la prima guerra mondiale.
Finisce quando hai 18 anni: 22 milioni di morti.
Poco dopo, una pandemia mondiale, l’influenza chiamata ′′ spagnola “:
50 milioni di persone. Ma ne esci vivo e libero. Hai 20 anni.
A 29 anni crollo della borsa di New York, inflazione, disoccupazione e fame.
Crisi economica mondiale: tu sopravvivi.
A 33 anni i nazisti arrivano al potere.
Hai 39 anni quando inizia la seconda guerra mondiale.
Finisce quando hai 45 anni.
Durante l’Olocausto (Shoah) muoiono 6 milioni di ebrei.
Ci saranno più di 60 milioni di morti in totale.
Quando hai 52 anni inizia la guerra di Corea.
Quando hai 64 anni inizia la guerra del Vietnam e finisce quando hai 75 anni.
Un bambino nato nel 1985 pensa che i suoi nonni non abbiano idea di quanto sia difficile la vita.
Un ragazzo nato nel 1995 pensa che sia la fine del mondo quando il suo pacco Amazon impiega più di tre giorni per arrivare o quando non ottiene più di 15 ′′ likes ′′ per la sua foto pubblicata su Facebook o Instagram…
Nel 2020 molti di noi vivono nel comfort, hanno accesso a diverse fonti di divertimento a casa e spesso hanno più del necessario.
Ma ci lamentiamo di tutto.
Abbiamo elettricità, telefono, cibo, acqua calda e tetto sulla testa.
Niente di tutto questo esisteva prima.
Ma l’umanità sopravvisse a circostanze molto più gravi e non perse mai la gioia di vivere.
Forse è ora di smettere di piangere.
(anonimo in rete, grazie a Barbara Ceschi)
Repubblica sta attraversando una doppia crisi: strutturale (comune a tutto il settore) e di identità. Ecco, non so più cos’e’. Certamente non più quella di prima. Mi da’ perfino fastidio questa presenza invasiva di Molinari, sul giornale, sul sito, sul web, senza rendersi conto che non incide, non lascia traccia del suo pensiero. Su Repubblica on line ho letto per ben tre volte negli ultimi mesi notizie di Lapo Elkan (Lapo Elkan, cazzo!), mentre la fuga delle firme continua. Più che Saviano mi ha colpito l’uscita di Attilio Bolzoni che da quarant’anni si occupava di mafie, collusioni politiche e di apparati dello Stato. Un tempo si emigrava per fame, adesso evidentemente alla ricerca di qualcosa che dagli scaffali di Repubblica è andato esaurito.
L’intervento di Mario Quaia è particolarmente interessante e significativo visto che è stato uno dei direttori del gruppo fino a circa 15 anni or sono. Volevo solo aggiungere una cosa: se ne stanno andando via i migliori. Ricordo che io sono uno dei fondatori della Repubblica, uno di quelli che ha fatto perfino quella ventina di numeri zero. E me ne sono andato via dopo tre mesi. Sono il primo dei transfughi (prima di me Massimo Fini che se ne andò via prima del numero uno). Però io sbagliai. Allora io non avevo nessuna ragione per farlo. Repubblica era un giornale splendido. (csf)
da Barbara Melotti
I giornali di carta in casa li abbiamo abbandonati. Da anni. Un po’ dopo i telegiornali, parecchio dopo i talk show coi quali penso di festeggiare ormai il decennio di divorzio. Il Corriere non l’ho letto veramente mai, sapete com’è, retaggio famigliare da antichi comunisti, il corriere della serva, insomma quella roba li. Di Repubblica.it leggo i titoli, molto raramente qualche articolo e qualcosa di locale, abbastanza però per sapere non solo com’è peggiorata nei contenuti ma anche e a volte soprattutto della totale povertà degli articoli, quattro cosette buttate lì, retroscena che non lo erano (la citazione è per far arrabbiare il padrone di casa, qui). Quindi come mi informo? A parte cercare di sfuggire all’eccesso di informazione che rischia sempre il sovradosaggio, un rischio concreto nell’era di Internet, leggo Il Post che seguo dall’inizio della sua avventura essendo Francesco Costa un mio giovane amico da molto prima che ci lavorasse, da quando era poco più che ventenne qui a Roma, e che fa un lodevole sforzo, tenendo conto anche della disparità dei mezzi, ed uso i social, Facebook soprattutto, al posto dei feed reader ormai defunti, che ho molto usato e amato in passato, cioè seguo lì persone che conosco e stimo, quasi tutte personalmente, che hanno nel loro insieme conoscenze e interessi larghi e che segnalano lì le proprie letture. Le ultime elezioni americane col loro corollario ancora in corso mi hanno portato a leggere molto dei loro giornali e siti di informazione nell’ultimo anno. Se lo fate, anche coi meno paludati tipo CNN, vi rendete conto immediatamente delle differenze fra un articolo, uno vero, e quelli che leggiamo abitualmente sui nostri giornali: no retroscena, almeno 2 fonti sia pure sotto anonimato sempre citate, sempre segnalate le eventuali correzioni di errori e gli eventuali aggiornamenti, crediti al primo media a dare l’originaria notizia sempre chiaramente attribuiti, mai dato per scontato che si conoscano i precedenti, che sono sempre riepilogati, se già li conosce può saltarli il lettore. Proprio come Repubblica.it, vero? Eppure, si legge, anche lì il “mestiere” è in crisi, ma avercene qui, di quella crisi!
I quotidiani di carta sono peggiorati tantissimo, come darti torto. Ma più li abbandoniamo più peggiorano. Informarsi sui social è un delirio. Vuol dire rinunciare aprioristicamente all’informazione. Come andare in piazza tra la gente, ascoltare quello che si dice, e dichiararsi soddisfatti. Io credo che ancora oggi conviene rivolgersi alla carta stampata ma bisogna impegnarsi a leggerla bene. (csf)
da Nicola Purgato
Le questioni che sollevate sono, se mi consentite, secondarie. La mascherina di Salvini è un titolo maldestro, nulla più. Quanto a Rampini, da tempo mette in evidenza che Trump non è nato per caso, il trumpismo è il prodotto diretto della indifferenza dei democratici, legati alle elites intellettuali e culturali delle due coste, per l’America profonda. Repubblica è un giornale distrutto per altri e ben più seri motivi, con un disegno ben preciso alla base. Dall’avvento di Molinari, perde pezzi in continuazione, un elenco che si allunga ogni giorno. Quelli che arrivano sono collaboratori che Molinari raccatta a destra e a manca e i cui scritti non interessano nessuno. Se volete i nomi, vi faccio gli elenchi di entrambi. Ma credo non ce ne sia bisogno.
Non è vero, ce ne è sempre bisogno. Se non altro per dividere i buoni dai cattivi. Su Repubblica c’è un sacco di gente che scrive bene. C’è Natalia Aspesi, c’é Michele Serra. Vogliamo gettarli con l’acqua sporca? (csf)