da Gianni Guasto, Genova
Non posso essere díaccordo con Tiziano Terzani che, in uníintervista a Repubblica, definisce Oriana Fallaci un caso clinico di megalomania. Non sono díaccordo come psichiatra, anche se, come cittadino, sono mosso dalla stessa indignazione, dallo stesso amaro stupore che muovono lui.
Non ci sono più, purtroppo, quei bei megalomani di una volta, perché la megalomania, per esistere, ha bisogno di confrontarsi con il senso medio del pudore, scomparso anchíesso. Chi millanti professioni, competenze, saggezze, diritto di saperla lunga, di proporre, di arringare, incitare, oggi può farlo tranquillamente, senza che nessuno gliene chieda le credenziali. Una volta, chi veniva nel mio studio annunciandomi di avere nel cassetto un’opera filosofica che avrebbe rappresentato la svolta epocale, un poema di stazza dantesca, un progetto di riforma costituzionale o la ricetta per la pace perpetua, lo faceva tentando di spiare la mia reazione, e rassicurandosi che di là dal muro nessuno lo potesse sentire. Era un modo di gridare, sì, ma controllato. Persino quel signore che per anni quasi tutti i giorni si metteva a ballare alla maniera di Fred Astaire sulle scale mobili della Rinascente affollata, lo faceva con un certo ritegno, con una specie di sorriso pudico, nella speranza di mitigare la vergogna per gli sguardi stupiti, divertiti, o irridenti, che si posavano su di lui.
Oggi tutto è diverso: gridare è diventato un segno di distinzione, e nessuno si preoccupa più di mascherare il falso, perché tanto, di là, ad ascoltare, ci sono moltitudini che altro non aspettano che líennesima conferma che mentire è bello. Per questo si può urlare tutto quello che si vuole, senza diventare dei piccoli eroi trasgressivi. Bucare lo schermo conta più che il dire cose credibili, e il problema è semmai stare al passo con la concorrenza. Si tratta, banalmente, di rumore, non di psicopatologia.
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