da Primo Casalini, Monza
Siccome sono cresciuto in campagna, ed il mio cognome araldicamente lo denuncia, l’Arcadia dei cittadini non mi convince. La “suora” era un specie di padella in cui si mettevano delle braci attorniate da cenere; il “prete” era il trespolo che la conteneva e che impediva che le lenzuola prendessero fuoco. O viceversa, è passato un po’ di tempo, ma ogni sera nelle camere da letto avveniva il malizioso connubio. Ed il coniglio di quattro mesi con cui giocavi, la settimana dopo la mamma te lo faceva trovare nel piatto. Mi diverte vedere ogni tanto i cobas del latte portarsi goffamente in giro la mucca Ercolina (o Carolina?); goffamente perchè quelli pratici li hanno lasciati nelle stalle: i sikh col turbante che in pochi anni mettono da parte i soldi per una fattoria in Australia. Poi ci sono i verdisti, che si nutrirebbero d’aria, moderni càtari che fanno pure gli inquisitori. E dalla popolosa e trisillaba Milano tutti i venerdì sera è un fuggi-fuggi verso l’agognata meta silvestre. Ivi giunti, metà del tempo se ne va fra conti da pagare, vicini da salutare, rubinetti che perdono, formiche e burdokk (scarafaggi, per i non celti). Ho la fortuna di avere una grande quercia proprio di fronte al terrazzo. Dieci giorni fa, ho assistito al dramma della caduta delle ghiande (qualcuna, con rimbalzi strani, mi è arrivata fra’ piedi); ieri ho assistito all’elegia romantica della caduta delle foglie. Ma dopo una mezz’ora, è stato bello tornare a fruire del termosifone, oggetto contorto ma leale. E domenica mattina? Semplice, si va a Milano, bellissima città. Ci arrivo in venti minuti, parcheggio senza problemi, passeggio tranquillo. Un grazie riconoscente agli Arcadi da week-end.
Caro Primo, sei vecchio.(csf)
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