da Fausto Cerulli
A quel tempo eravamo il popolo del sessantotto: giravamo l’Italia, o forse era l’Italia che ci girava intorno ( tra Tolomeo e Copernico, pensatela come vi pare, preferisco il primo ) e lo facevamo con il sacco a pelo, dormivamo d’estate nella tenda e se era inverno nella sede del psiup o a casa di compagni, ché allora già ci chiamavamo cosi.Mi resta impresso di quanto parlavamo: discussioni infinite, sui massimi e sui minimi sistemi, convinti d’essere al crocevia del tempo, un altro passo e il mondo avrebbe cambiato faccia. Eravamo già allora girovaghi della politica, ma giocavamo in casa: e passare di provincia era spendere tempo e quei soldi che non avevamo: allora i nostri genitori non erano orgogliosi di noi, era grasso colato se ci lasciavano partire. Poi diventammo quelli del settantasette: e ricordo una sera a Bologna, che già allora c’erano i capi del movimento che dormivano in albergo perché dovevano scrivere discorsi e far brave manovre di corridoio, e noi le solite tende e i soliti sacchi a pelo e i soldi pochi, guadagnati in lavori precari. La sera tardi arrivava magari Toni Negri e giù dibattiti a non finire con Oreste Scalzone e Giuliano Ferrara: prima di andare a ninna ci rincoglionivamo di birra e di spinelli: e l’Internazionale ci faceva anche piangere davvero. Adesso è il tempo del popolo di Seattle: e già si nota una differenza di metodo. Perché noi ci distinguevamo per annate, quelli del sessantotto e quelli del settantasette, come i vini di lusso: adesso si distinguono per luoghi: è il popolo di Seattle che muta nome col mutar del sito; e che segue i padroni del mondo come il gregge dei padroni del mondo. Viaggi internazionali: Seattle, Praga, poi Nizza e se vien bene la prossima volta alle Mauritius. Perché i signori si trattano bene, non vanno mica per fabbriche e villaggi: e il popolo di Seattle, per restare al passo e contestare in loco, è costretto a vagare per il mondo. Il popolo di Seattle: immagino che anche loro abbiano capi scelti, che alloggiano in alberghi vicini a quelli del nemico per studiarne le mosse, e che mangiano al tavolo accanto per spiarne i discorsi; ma non credo che il popolo minuto di questa Seattle immane ed immanente alloggi in tende: e in quanto ai sacchi a pelo li trovi solo ormai dai robivecchi. Non ci voglio giurare, ma non mi sembrerebbe strano se il popolo di Seattle si muovesse per il mondo con la Franco Rosso.In fin dei conti il popolo di Seattle è un popolo che va per la maggiore; piace molto ai nostri benpensanti ed ai radical chic: ha compiuto il miracolo di far quadrare il cerchio della opposizione che contesta e dei padroni che se la spassano a farsi contestare. Beati i popoli che hanno bisogno del popolo di Seattle. E vada pure in malora il popolo che non è andato a Seattle.
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