da Gianni Guasto
A leggere l’intervista di Paola, non si capisce dove stiano in lei la paura, l’insofferenza, il disgusto: tutto ciò che ci possiamo aspettare, legittimamente, da ciò che, essendo estraneo, entra senza mediazioni nella sfera più intima. In questo senso, Paola sembra essere l’immagine speculare della xenofobia: ogni incontro, purché consensuale, può entrare dentro la sua dimensione corporea: tutto va bene, tranne i bambini e gli animali. Limitazione etica assolutamente condivisibile, che, almeno nel primo caso (ma forse anche nel secondo) é ancorata a una importante motivazione altruistica. Ma l’altruismo non basta: nell’insaziata bulimia di Paola non sembra esserci alcuno spazio per la discriminazione, che é la base del gusto. Al marito, che di tanto in tanto dice “questo no”, Paola sembra rimproverare un limite, una sorta di pavidità o di pudore borghese. Ma anche l’assenza di paura, anche l’assenza di disgusto persino di fronte alla trasgressione coprofilica, non sono forse limitazioni, rinunce a qualchecosa che ci appartiene?
Nessun commento.
Commenti chiusi.