da Sherri Mandell
Adesso sembra da pazzi vivere in Israele. Alcuni se ne vanno. Li capisco. E’ orribile vivere con la violenza e con l’angoscia e con lo stress che provocano. Siamo vulnerabili, noi israeliani: in macchina o sull’autobus, prendendo un caffè al bar o addirittura stando a casa. Tutto è circondato dal terrore. Tutto il tempo, di giorno e di notte, siamo coscienti di essere obiettivi da colpire.
Voi sapete il mio imbarazzo nel parlare della questione mediorentale. Ma non mi dispiace raccontare storie, cioè che altri raccontino storie. Questa è la lettera che una mamma ebrea ha mandato all’Ansa e a tutti i quotidiani italiani e anche a noi. Finisce così ( ma voi potetele leggerla tutta in documenti): “Noi non vogliamo lasciare il posto dove è seppellito nostro figlio. Non vogliamo lasciare l’unico posto al mondo dove il tempo è misurato con il calendario ebraico, dove le celebrazioni coincidono con le festività ebraiche, dove la lingua è quella della Bibbia. Noi non vogliamo lasciare il centro della storia ebraica. Adesso facciamo parte di questa lunga storia dolorosa, siamo noi quel popolo ebraico che lotta per poter finalmente vivere sulla propria terra. Mio figlio è morto perché ebreo. Io voglio vivere da ebrea!” Frasi del genere potrebbe dirle anche una mamma palestinese. E dispiace che la mamma ebrea non se ne renda conto. Ma credo che lo sforzo che le chiediamo sia troppo grande. Solo che andando avanti così non se ne uscirà mai.(csf)
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