da Alessandra Alessandri
Caro Claudio, vorrei parlarti dello sciopero della fame dei detenuti turchi e dei loro familiari. Credo che i morti siano ormai più di 40. Ho registrato un programma televisivo (un’eccezione, nel silenzio) intitolato “Primo piano”, di una quindicina di giorni fa. Non sono ancora stata capace di vedere per intero il reportage dedicato alla Turchia, alle sue carceri, alla repressione e alla violazione dei diritti umani per la crudezza delle immagini e dei racconti. E’ straziante immaginare che, vicino a noi, ci siano persone che quotidianamente scelgono il sacrificio in nome di valori e principi che dovrebbero essere patrimonio della cultura e della legislazione di qualsiasi stato. Gli uomini e le donne turche che si lasciano morire di fame non sono kamikaze, combattono con nobiltà, testimoniano con dignità le loro scelte. E’ possibile che non si possa fare niente? Qualcuno forse dovrebbe promuovere quelle catene di civiltà fatte di appelli, di lettere, di messaggi: non potrebbero essere utili? Come si può fare? Non potrebbe essere un piccolo motivo di risveglio, un’occasione per combattere in nome di qualcosa di importanmte per quel popolo della sinistra deluso, demotivato e stanco?
Si, si dovrebbe fare qualcosa. Io non so che cosa, ma sono disponibile a qualsiasi iniziativa. Siamo pronti ad entusiasmarci per le bombe a pioggia sul popolo afgano ma ce ne freghiamo di quello che succede in Turchia che, non dimentichiamocelo, fa parte dell’Europa. Hai fatto bene tu a ricordare la differenza tra i kamikaze e quelli che si lasciano morire di fame. Però vedi? Dei kamikaze si parla, degli altri no.(csf)
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