Remedios è una città antica, coloniale, ben conservata, costruita come tutte le città cubane attorno a una bella piazza. Ricorda un po’, ma solo un po’, Trinidad, soprattutto per le grate di ferro battuto che proteggono le porte e le finestre al piano terreno. Ma non ha la sua magia. Reian è contento perché andiamo al mare. Anche io sono contento quando lo vedo sguazzare nell’acqua e lavarsi. Torniamo a Remedios e lo porto in un negozio. Venti dollari ed esce vestito come un giocatore di basket, tutto tirato a nuovo. Dice: “Così posso tronare anche a casa”. Ma intanto si mette a dormire nella macchina. Mentre dorme io visito la chiesa di san Giovanni Battita. Incontro Esteban Granda. 80 anni, ha appena festeggiato i 50 anni del suo secondo matrimonio. E’ il sacrestano e mi racconta la storia della chiesa, una delle più belle di Cuba. Mi mostra l’altare che copre tutta la parete dell’abside. E’ realizzato in mogano sul quale è stata incollata una lamina di oro zecchino. Tanto zecchino che splendeva troppo e dava fastidio agli occhi rendendone difficile coglierne gli effetti del bassorilievo. Finì che dovettero coprirne parte con una vernice scura. Mi mostra anche il soffitto, sempre in mogano, intarsiato. E infine mi mostra la statua dell’Immacolata Concezione che sembra una danzatrice che batte le mani al suono della musica, l’unica statua di una Madonna incinta, almeno in Cuba. “C’è dibattito”, dice Esteban, che è una persona spiritosa, tra i ginecologi. Alcuni dicono che è al sesto mese, altri al settimo”. Esteban ha un sogno, venire in Italia, a Padova e poi ad Assisi. Quando? “Quando il barbuto me lo consentirà. E quando troverò i soldi. Io non ho una lira. La mia pensione mi consente appena di comprare un litro di latte al giorno. Tre pesos per 30 giorni fanno novanta pesos, che costituiscono la mia pensione. Purtroppo ci sono anche mesi di 31 giorni. Ma mi rifaccio a febbraio”. Ride Esteban. La povertà non fa dimenticare ai cubani l’allegria. Ma poi gli chiedo: “Come fanno a vivere i cubani?” “A Cuba c’è una doppia morale”, dice. “Tutti, chi più chi meno, rubano allo Stato”. Ricorda il giorno in cui quasi metà dei preti di Cuba lasciarono l’isola. Anche la sua chiesa rimase sguarnita. Lui aprì il tabernacolo e si accorse che c’erano molte ostie consacrate. “Avevo paura che potesse succedere qualcosa, qualche atto sacrilego”. E allora? “E allora cosa? Le mangiai”. Tutte? “Tutte”. Tutte quante? “420”.
Claudio Sabelli FiorettiDa Cuba, quattordicesimo giorno
Nessun commento.
Commenti chiusi.