Due incontri: Che Guevara e Reian Faure Casal. Il Che lo conoscete tutti. Ma per chi ha passato parte della sua vita, la più ingenua ed entusiasmante, cantando “Hasta sempre”, arrivare in quella che è considerata la sua città, Santa Clara, è una grande emozione anche se la città non è niente di speciale. Santa Clara non era la città del Che, era quella dove fu combattuta la battaglia più aspra, quella che aprì la strada alla vittoria finale e alla fuga di Batista. Ho visto naturalmente il suo Mausoleo e il luogo, oggi museo all’aperto, dove i rebeldes bloccarono il treno blindato pieno di soldati di Batista. A Santa Clara incontro Reian. La mattina, uscito dal fatiscente albergo Santa Clara Libre, il migliore della città, trovo Reian accucciato accanto alla macchina. Mi dice: “Ho guardato la macchina tutta la notte”. Faccio finta di crederci e gli chiedo la strada per il Mausoleo. Salta dentro la macchina e mi dice: “Ti ci porto io”. E’ male in arnese, maglietta sdrucita, scarpe sfondate, pantaloni distrutti. Non conosce per niente la città. E’ simpatico e allegro. Mi racconta che ha 14 anni, vive a Santa Clara da nove giorni, è scappato da casa perché la madre (abita a Santiago di Cuba) lo maltratta e non lo fa andare a scuola. Non mi sembra uno con molta voglia di andare a scuola. Al Mausoleo vede la polizia e scappa a nascondersi da qualche parte. Il Mausoleo è sul lato di una grandissima piazza (plaza de la revolution, naturalmente). La statua del Che è molto alta. Su blocchi di marmo campeggiano grandi scritte. Dio mi perdoni ma il tutto ricorda un po’ il Foro Italico di Roma. Il Museo è sotto ed è l’unico Museo gratuito che ho incontrato a Cuba. La pagella del Che, bravo in storia, mediocre in ginnastica e in musica. Il suo apparecchio per l’asma. Gli attrezzi per curare i denti dei guerriglieri nella Sierra. La foto, commovente, del Che in versione padre di famiglia, con la piccolina in fasce in braccio e gli altri tre e la bella moglie Aleida accanto (foto che non ho mai trovato in nessuno dei tanti negozi dove l’iconografia guevariana è ridondante). Dovunque, quella sua strana firma che sembra uno svolazzo stenografico. Poi una stanza semibuia. Dentro, la tomba del Che e dei suoi compagni uccisi in Bolivia.Fuori trovo Reian che mi aspetta seminascosto in un cespuglio. Mi accompagna anche ai treni blindati. O meglio lo accompagno io. Lui di Santa Clara ignora quasi tutto. Ci sono ancora quattro vagoni. Originariamente il convoglio era composto da 22 vagoni che ospitavano 408 soldati. Il Che, con 23 guerriglieri, lo bloccò e li fece arrendere con uno stratagemma. Fece saltare un ponte e quando il treno fece marcia indietro i binari nel frattempo divelti lo fecero deragliare. Qualche molotov gettata sotto ai vagoni dove non c’era blindatura fece il resto. Un vecchietto mi vende monete e banconote con la faccia del Che. Me le vende a un dollaro e solo più tardi scoprirò che sono di corso legale, valgono tre pesos e posso averle per trecento lire in banca. Reian mi dice: “Dove andiamo?” Io gli dico: “Io vado a Remedios”. Reian dice: “Vengo anche io, ti guardo la macchina anche stanotte. Però mi porti al ristorante?” Io gli dico che non ho alcuna intenzione di portarlo a Remedios. Il ragazzo ha carattere. Dopo dieci minuti siamo tutti e due sulla strada per Remedios. Io gli insegno a contare in italiano, lui insegna a me i numeri in spagnolo.
Claudio Sabelli FiorettiDa Cuba, tredicesimo giorno
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