Chi ha memoria è un deficiente. È un deficiente che non vuole capire il dramma di chi non ha memoria. Chi non ha memoria soffre. Dimentica il passato remoto, a volte il passato prossimo. E mette in crisi il futuro. Da un certo giorno della mia vita (non ricordo quale) ho cominciato a dimenticare. Uscivo di casa e dimenticavo perché. Incontravo un amico e non riuscivo a ricordare chi fosse. Adesso i miei amici hanno capito che è tutto vero, ma all’inizio la cosa era imbarazzante.
Se qualcuno per strada ti saluta, e tu non sai chi sia, che cosa fai? Gli dici: “Scusa, chi sei?” Col tempo ho affinato una tecnica pericolosa. Rispondo al saluto e comincio a fare domande. “Come va?” Se risponde: “Sei bene che ho il cancro”, fai una figura pessima ma anche qualche passo avanti, “E a casa?”. “Non ricordi che mia moglie è morta l’anno scorso?”. Peggio che andar di notte. Alla quinta risposta hai elementi sufficienti per azzardare l’identità dell’interlocutore. Ma se avevi un amico non ce l’hai più. Il 50 per cento delle persone che mi telefonano, io non so chi siano. Quando scartabello nel mio archivio la maggior parte dei documenti e delle lettere che trovo non mi dicono nulla. Il che ha anche aspetti positivi. Scopro che io sono una persona misteriosa e sconosciuta a me stesso e spesso mi piaccio. Altre volte è il contrario. Vedo la mia firma in fondo alla copia di una lettera e mi dico: “Ho veramente scritto una minchiata del genere?”. Quando nel 2000 lessi “La versione di Barney”, dello scrittore canadese Mordecai Richler, rimasi molto colpito dal fatto che il protagonista riconosceva in alcuni suoi comportamenti i sintomi della malattia di Alzheimer. Ma anche io riconoscevo in alcuni episodi della vita di Barney, alcuni episodi della mia vita. La scoperta non mi divertì. Decisi di andare da un geriatra mio amico, Roberto Bernabei, figlio di Ettore Bernabei, marito di Sidney Rome e oggi medico personale del Papa. Roberto mi mise davanti dei fogli con dei test, di quelli con le crocette. Alla fine mi disse: “Non hai l’Alzheimer”. Ma io a quel punto avevo scordato perché fossi andato da lui. Non avevo l’Alzheimer ma non avevo nemmeno la memoria. Poi mi ricordai che anche da bambino non avevo memoria. Mia madre mi faceva prendere l’Acutil, quello che, con la fosfoserina, “lucidava la mente”. Forse i miei neuroni sono stati lucidati troppo, fatto sta che quando mi ritrovo con vecchi amici, loro sanno di me molte più cose di quelle che so io. C’è Giovanni Cerruti, un mio collega, uomo dalla memoria di ferro. Di me sa tutto, o quasi. Ma recentemente mi ha dato una notizia sconvolgente. Mi ha detto: “Sto perdendo la memoria”. Mi sono incazzato: “Questo non me lo puoi fare”. Lo scherzo peggiore me l’ha fatto Carlo Rizzi. Lui era il wikipedia della mia vita. Lo usavo come si usa oggi Google. Un giorno mi disse: “Dovresti scrivere la tua autobiografia”. Io risposi: “Lo farei. Ma non ricordo nulla”. E lui: “Non ti preoccupare, ci penso io”. Fino a qualche mese fa. Poi è morto. Se ne è andato portando nella tomba la storia della mia vita. Oggi la situazione è quasi disperata. Prendo appunti dappertutto ma non ricordo dove metto i foglietti. Scrivo tutto quello che posso sulla mia agenda ma perdo l’agenda. Quando non c’erano ancora i cellulari, e si usavano le cabine telefoniche, abbandonavo con metodo le mie agende sui telefoni. Oppure le perdevo a casa della gente che andavo a intervistare. Un giorno mi telefonò la segretaria di Giulio Andreotti. “Il presidente ha trovato un’agenda di pelle marrone. È per caso la sua?”. Ovvio che era la mia. Io perdo o dimentico tutto. La polizia ferroviaria mi telefonò dalla stazione di Rovereto. “Abbiamo trovato un mazzo di chiavi in una cabina telefonica”. Quanto pesa? “Almeno due chili, ci saranno quaranta chiavi”. È mia. Per fortuna giro con la medaglietta col numero del telefono attaccata alle chiavi. Come i cani.
Una trentina di anni fa, eravamo attorno al 1990, io ero appena uscito da una storia con Marta. Ero a Milano, al Palalido, per un incontro pubblico del Dalai Lama. Alla fine, rituale conferenza stampa. Dopo un po’ venne verso di me una ragazza che mi salutò e mi baciò. Io la salutai e la baciai. Lei, dopo un rapido e generico scambio di battute, se ne andò. Io non avevo la più pallida idea di chi fosse. Mi chiarì le cose un collega seduto accanto a me. “Carina tua moglie!” Ci rimasi male, era Marta. Pensai: “Deve aver cambiato pettinatura!”.
la vecchiaia è una brutta cosa!
PERCHé, SEI VECCHIO?
Accontentati della vecchiaia csf, l’altrenativa è peggio….
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