Gianni Baget Bozzo l’aveva fatta veramente grossa. E’ vero che tutta la sua vita era stata un continuo attaccare la Chiesa perché era troppo di sinistra. E lui era stato più volte punito. Gli era stata vietata la messa in pubblico e poi era stato addirittura sospeso a divinis. Ma quando sostenne pubblicamente che Forza Italia era nata grazie allo Spirito Santo, fu troppo. Tarcisio Bertone, vescovo di Genova, lo trattò malissimo.
“Un colloquio tempestoso”, lo definì Baget Bozzo. Il sospetto che avevo, mentre salivo con l’ascensore nel suo attico di Genova per l’intervista concordata, era che lui fosse contento degli strali vescovili. Gli consentivano di propagandare le sue idee di destra prima e dopo. Più che un prete, Baget Bozzo era una scheggia impazzita all’interno della Chiesa. Aveva un linguaggio decisamente molto libero. “Dobbiamo combattere, perdio”, oppure “Col cazzo che sono un adulatore”. Oppure, “Io sono una puttana”. Oppure “Dio potrebbe essere un coito che dura all’infinito”. Insomma, ce n’era di materiale per realizzare una bella intervista. E infatti fu una bella intervista. Lui era sprofondato in una poltrona nel suo salotto con annesso altare sul quale aveva posato una grande bandiera americana. Aveva un aspetto sciatto, la sua tonaca era piuttosto sporca e sulle spalle abbondava la forfora. Non era un bel vedere. Ma fu una bella intervista. Arrivai perfino a fargli la domanda scabrosa, quella che faccio sempre con molto imbarazzo a meno che non sia impossibile non farla. E gliela feci a bruciapelo: “Tu sei omosessuale?” Glielo chiesi non tanto perché era una voce che girava, quanto per il fatto che lui stesso ne aveva parlato in una intervista con Mattia Feltri al quale aveva confessato di aver provato casti sentimenti omoerotici, “e più di una volta”. A me disse: «Questa risposta è stata stravolta in una dichiarazione di omosessualità che non avevo mai fatto. Ma se avessi smentito non sarei stato creduto e allora ho lasciato perdere. Tanto una cosa vale l’altra». Non capii molto bene che cosa volesse dire “una cosa vale l’altra” ma decisi di non insistere. A un certo punto entrò nel salone una signora che poteva essere una colf o una badante. Ci portò un tè e se ne andò via subito con l’aria un po’ scandalizzata. Io non capivo che cosa l’avesse scandalizzata. Ma lo capii alla fine dell’intervista quando salii nell’ascensore. Spinsi il bottone “pian terreno” e mi guardai allo specchio. Avevo la patta dei pantaloni completamente aperta. Ma una cosa vale l’altra.
un personaggio che non era di mio gradimento (penso per molti)
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