C’è una categoria di persone che mi fa impazzire. Sono quei giovanotti che giunti appena appena al di là della pubertà, si trovano a essere osannati dalle folle, con un conto in banca stratosferico. Essendo ancora molto lontani dalla maturità, alcuni di loro sputtanano i milioni guadagnati (parlo di euro, non di vecchie lire) affidandoli a trafficoni che promettono guadagni favolosi e che poi scappano col malloppo. Altri li disperdono in imprese fallimentari. Non pochi si dedicano al gioco d’azzardo che per loro non solo è d’azzardo ma è anche vietato. Quindi giocano, ma di nascosto. Rovinano le loro famiglie ma non lo dicono a nessuno.
I calciatori sono dei giovanotti immaturi. Appena guadagnano quattro lire si comprano una Lamborghini, organizzano feste luculliane, cenano in Polinesia, frequentano i locali più esclusivi dove un’apericena costa 500 euro a portata. Quando debbono ordinare il vino tirano fuori un fogliettino e leggono: “Vorrei un Amarone della Valpolicella di Giuseppe Quintarelli classico”. Loro non capiscono nulla di vino. Per loro l’Amarone è un Tavernello fatto in Sardegna. Il sommelier usa tutto il suo tatto: “Le ricordo che costa 1117 euro la bottiglia”. “E allora me ne porti due”. I calciatori più ricchi e più saggi comprano case. Attico, superattico e supersuperattico nel centro storico, per non sbagliare. E poi si fidanzano e si sposano con gnocche galattiche che li mollano appena escono dal giro della prima squadra e da quello delle copertine di “Chi”. Il massimo del minimo il calciatore lo realizza quando è in campo. Quando entra si fa il segno della croce e bacia per terra. Se per caso segna un gol comincia a correre disperatamente per il campo inseguito dai suoi compagni che lo vogliono baciare ma si accontentano anche solo di pastrugnarlo. Quando lo raggiungono si forma un montarozzo di ciccia, di cosce, di culi che si agitano alla ricerca di un impossibile coito. Altre volte l’autore del goal corre verso la bandierina del corner e la strappa, oppure fa piroette, sculetta, porta le mani alle orecchie, fa le boccacce, si toglie la maglietta, fa il segno del cuore con le dita, fa il gesto della culla, gattona sull’erba, manda bacetti al cielo. L’allievo di un asilo steineriano al confronto sembra un filosofo presocratico. Sostanzialmente il gol fa tornare il calciatore all’età prepuberale. Più sono famosi più i calciatori regrediscono al livello delle squadre dei pulcini. Negli altri sport gli atleti si scambiano il cinque, si colpiscono con i pugnetti, si danno virilmente delle pacche sulle spalle. I calciatori no. Se segnano si baciano lingua in bocca. Mi direte: è il loro lavoro e sono felici quando lo fanno bene. È vero. Ma adesso cambiamo lo scenario. Siamo in banca dove siamo andati a ritirare mille euro. L’impiegato diligente prende una mazzetta di banconote da 50 euro, ne conta venti. Poi li riconta e ce li consegna. Noi li ricontiamo, facciamo cenno con la testa che va bene e li mettiamo in tasca. L’impiegato ha fatto bene il suo lavoro. E che fa? Si alza e si mette a ballare la samba? Fa le piroette? Accenna un passo di tuca tuca? No, ha fatto il suo dovere. Dice: avanti un altro. Il momento più bello è quando un calciatore deve tirare un calcio di rigore. Piazza il pallone sul dischetto, guarda verso il cielo, si fa il segno della croce e prega. “Dio, devi far sì che io non sbagli il rigore. E lascia perdere De Gregori”. Io me lo immagino Dio, con tutti i casini che ha, con tutte le guerre, con tutti i malati, con tutti i poveri ai quali deve pensare, me lo immagino che guarda giù verso lo stadio e sbuffa. “Ancora?” Ma in quel momento il portiere, anche lui, poggia il ginocchio sull’erba, guarda in cielo e si fa il segno della croce. E dice: “Dio, fallo tirare a sinistra”. E Dio non sa a che santo votarsi. A me il calcio piace poco, si era capito vero? Ma mio padre era un famoso giornalista sportivo. Fu anche il primo radiocronista d’Italia. Stadio del Fascio, oggi stadio Flaminio. Italia-Ungheria 3 a 2. Aveva inventato un sistema singolare per raccontare la partita: utilizzava una specie di tabella di sua invenzione, come quella della battaglia navale. “Ecco il centromediano che in 4C passa la palla alla mezzala che la colpisce in 5D e la passa al centrattacco che è solo davanti al portiere in 6E”. Da casa gli ascoltatori dovevano disegnarsi la loro cartina e potevano seguire il gioco. Oggi me lo immagino in paradiso (era un uomo buono, è sicuramente andato in paradiso) mentre fa la radiocronaca: “Ecco San Pietro in F4, si allunga la palla in G5. Traversone. La palla spiove in H6 sulla testa di San Giovanni. Nulla da fare per il pur bravo Padreterno”.
Eppure, avevo capito che tifavi Lazio ( per forza, stadio Flaminio , babbo radiocronista..). Bello questo post .
È VERO IO TIFO LAZIO, PURTROPPO
Stupendo. Chapeau
Avrei voluto dirlo io. Penso tutto ugualmente, ha scritto tutto in modo rispondente a quel che molti pensano dei giovinotti. Lo sa Dio se non è così (Ha ancora tanto da fare e risponderà: “ancora?”
il calcio ci piace sempre di meno!
Premesso che per me la palla è ovale la cosa che mi fa più imbufalire sono le sceneggiate da Traviata sul letto di morte di uno che ha subito un fallo e non parlo di massacri ma di spintarelle, niente, il pallonaro deve rotolarsi tra atroci spasimi a scanso di rialzarsi come una molla non appena il pallone gli ripassa accanto, e glisso sulla brutta abitudine di spostare la palla qualche centimetrio più avanti per tirare una punizione, roba da asilo infantile…
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