A me Sinner è proprio simpatico. E credo che sia simpatico al 99 per cento degli italiani. Con quella parrucca rossa che scompare miracolosamente sotto il berretto quando gioca. Con quel suo sorriso che non lo abbandona mai, neanche quando sarebbe più facile e conveniente piangere. Con quelle sue gambette che non si capisce come facciano a tenerlo in piedi. Con quel suo braccetto e con quel suo pugnetto che sfodera quando gli riesce un punto particolarmente difficile e redditizio. Mi è simpatico perché sento di poter giurare che mai deriderà o insulterà un suo avversario. Che mai protesterà contro l’arbitro. Mai si rivolgerà in maniera sgarbata ai fans del suo avversario.
Quando, dopo il punto decisivo che gli aveva dato la vittoria contro il russo Medvedev, si è gettato a terra con lo sguardo al cielo come a ringraziare il suo dio, mi sono detto: “Se io fossi diventato un grande campione (periodo ipotetico dell’irrealtà) avrei voluto essere come lui”. Siccome è chiaro a tutti che non sono diventato un grande campione ed è ormai assodato che sarà molto difficile che io possa diventarlo nei pochi anni che mi rimangono, devo affidarmi a lui, devo sceglierlo come il mio beniamino, devo sperare che quello che è riuscito a fare finora sia solo l’inizio e che d’ora in poi non faccia che migliorare e che conquisti tutti gli Slam possibili e immaginabili, uno dietro l’altro. Come quando impazzivo per tutti i Gran Premi che vinceva Valentino Rossi, come fosse mio figlio. Come quando vedevo Stefania Belmondo battere le grandi scandinave nelle gare di fondo. Come quando vedevo Eddy Ottoz superare uno alla volta tutti gli ostacoli fino all’ipotetico filo di lana dove conquistava medaglie su medaglie. E non perché siano italiani. Non me ne frega niente che siano italiani. Quello che mi piace in loro è che si divertivano e si divertono, che non godono della sconfitta degli avversari ma si limitano solo a cercare di vincere per fare contenti quelli che tifano per loro. Non mi importa che Sinner sia italiano. Fosse straniero sarebbe la stessa cosa. Io facevo il tifo per Wilma Rudolph, la “gazzella nera”, che da bambina aveva avuto la poliomelite e da signorina aveva vinto tre medaglie d’oro alle Olimpiadi di Roma, tutte e tre le volte sorridendo e pensando a quanto sarebbero stati contenti i suoi 21 fratelli nel Tennessee. Insomma la nazionalità non mi importa. Non sono un patriota e mi scusi Giorgia Meloni se la deludo. Mi importa non la bandiera ma la felicità che niente come l’agonismo riesce a dare. Ma adesso fatemi dire una cosa sconveniente. A voi, anzi, a tutti quelli che godono perché il grande Slam è stato vinto da un italiano, non dà fastidio che questo grande campione ricambi l’affetto di chi canta l’Inno di Mameli a squarciagola tutte le volte che la bandiera tricolore sale sul pennone più alto spostando la sua residenza a Montecarlo? Attenzione: non sto parlando di tasse. Ma pensate veramente che il principato di Monaco sia più bello dell’Italia? Ahia, sto diventando un patriota!
……siamo cittadini del mondo!
In reltà lo penso da un po’ Repetita juvant: le tasse sono belle 🙂
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