Al momento è una delle più grandi giornaliste italiane. Io l’adoro. Forse perché è vecchia come me ed è saggia come io vorrei essere. Leggete questa intervista che ha dato a Martina Piumatti del Giornale.
Insultata dalle neofemministe da social perché ha osato bacchettarle. Vista con sospetto dai nuovi maître à penser dall’ideologia formato hashtag. Lei, Natalia Aspesi, 92 anni e femminista da cinquanta, non si tira certo indietro. La giornalista de La Repubblica contrattacca con stile, impartendo una lezione di politicamente scorretto che infilza le ipocrisie diffuse su tutte le questioni che scottano. Fedez? “Un episodio privo di valore per gli omosessuali”. Ddl Zan? “Preferisco leggere l’Ulisse di Joyce”. Biancaneve e il consenso al principe? “Ma basta. Faccia la puttana e si diverta”. A ilGiornale.it tutte le stoccate di una femminista vera.
A giudicare dalle critiche al suo pezzo, il femminismo sembrerebbe morto inseguendo i like?
“Non guardo i like, sono qualcosa di irrilevante e non mi interessa cosa pensano sul web. Queste sedicenti neofemministe, non è che mi hanno criticata, hanno proprio chiesto la mia testa. Siccome sono molto anziana e ho vissuto una vita di cui sono abbastanza soddisfatta, vedo tutto da molto lontano e la critica mi fa sorridere, perché poi sono anche molto presuntuosa. Io penso sempre di esser meglio, capisce? Per cui le critiche le leggo volentieri e non ne tengo conto”.
Catcalling, bodyshaming, body positive: sono queste le nuove battaglie del femminismo?
“Sono tutti termini che copiamo dall’America e di cui non abbiamo neanche la traduzione. Non ci appartengono. Sono solo etichette che consentono di parlare, di scrivere, ma le battaglie sono altre. Questo nuovo modo di essere femminista dipende dai tempi. Quando lo eravamo noi, le donne non avevano nulla, non avevano le leggi che le proteggevano e se volevano sposarsi dovevano essere vergini. Noi abbiamo tracciato un terreno di libertà e adesso le libertà sono molto modeste, ecco. Non sono come chiedere la parità di compenso, di lavoro o la possibilità di fare carriera come si chiedeva prima, adesso si chiede che gli uomini non ti dicano: ‘Stai zitta’. Insomma, è questione di prospettive e queste mi sembrano piccole”.
Le ha definite “vittimistiche”.
“È un femminismo vittimistico perché non pensa mai di sbagliare. Ma anche noi donne commettiamo degli errori, non siamo perfette. Sono tutti discorsi abbastanza inutili che si fanno perché c’è quella maledizione dei social, che io non seguo per cui non ne so nulla. Non perdo il mio tempo a rincorrere i social, dove poi tutti dicono le stesse cose”.
Lei, cinquant’anni fa, avrebbe insultato una donna non in linea con le sue idee o il femminismo di allora era più democratico?
“Una volta si era più educati, non si insultava nessuno. Non sapevamo nemmeno come si faceva, non eravamo proprio abituati a insultare. C’era più solidarietà tra le donne, adesso le donne sono apparentemente solidali, ma in realtà si detestano. Fanno finta di essere tutte unite contro l’uomo cattivo, il patriarcato poi quando lavorano insieme si detestano. Negli anni settanta c’era un’unione mondiale vera delle donne. Adesso noi siamo molto provinciali, non ci interessa minimamente se negli altri paesi migliaia di donne vengono violentate o lottano perché non venga cancellata la legge che consente l’interruzione di gravidanza. Allora non è vero che siamo femministe. Siamo egoiste”.
Tutta colpa del Metoo?
“La parola colpa non fa parte del mio linguaggio. Per me nessuno è mai colpevole, parlerei più di responsabilità. Il Metoo è stato un movimento americano. Ha funzionato in quel contesto perché l’America è un paese molto moralista. Noi siamo molto più vivaci e cattolici. Chi pecca da noi ha la confessione e quindi il perdono. Gli americani appartengono soprattutto a gruppi protestanti ossessionati dal peccato, noi, invece, ce ne fottiamo del peccato. Andiamo a chiedere il perdono e con tre Ave Maria siamo a posto”.
L’applicazione indiscriminata di un principio anche giusto può essere pericolosa. Qual è il pericolo nel caso della censura contro il biografo di Roth?
“La cosa divertente è che parliamo sempre di molestia, ci scandalizziamo perché l’uomo di turno ha toccato il sedere, però, non si parla mai di sesso. Per esempio, nei libri di Roth si parla di sessualità, che non sarà quella di tutti ma è la sua, quella di un uomo che ha raccontato in modo meraviglioso cosa significa amare col corpo, non con l’etichetta”.
È un po’ quello che accade con le distorsioni della cancel culture: dai libri da censurare alle statue da abbattere o alle favole da riscrivere in modo conforme agli ideali, o etichette, di turno.
“Questa è una cosa vergognosa di cui non voglio neanche parlare, perché cancellare la storia è sempre sbagliato”.
In una società dove la difesa dei diritti si ribalta in gogna o bavaglio per chi dissente, il politicamente corretto seppellirà ogni coscienza critica?
“Io sono per la totale libertà, anche per chi dice delle cose su cui non sono d’accordo. Altrimenti tutto si appiattisce in una sola direzione. Adesso lei mi vuol dire perché tutti hanno scoperto di essere fluidi, non binari? Frase stupenda, che tra l’altro mi fa sempre pensare al tram”.
Che idea si è fatta del caso Pio e Amedeo? Conta la parola o l’intenzione?
“Io non guardo la televisione. Ma certo che hanno ragione: conta l’intenzione. Cosa me ne frega che non si può dire ‘negri’ se poi di fatto non li paghi adeguatamente per il lavoro che fanno. Chiamali come vuoi, ma poi considerali degli esseri umani. Si dà troppa importanza alla parola. Poi, certo, dipende da come lo dici. Se io dico al mio amico omosessuale ‘frocio’, lui non si offende perché siamo amici, ma se lo dico a un ragazzetto con disprezzo, ha ragione ad offendersi. Dipende tutto dall’intenzione, dal contesto. La guerra alle parole non serve e purtroppo la si fa per ignoranza. L’ignoranza è pericolosa, ma io sono vecchia e non me ne importa nulla”.
A proposito di parole, la Treccani ha appena cancellato dal dizionario online “cagna” e “zoccola” come sinonimi di donna. Era ora o no?
“Non si può dire che zoccola è sinonimo di donna, ma non andava cancellato. La storia non va mai cancellata. Anziché cancellare, si potrebbe inserire che in passato veniva usato in modo dispregiativo. Ora non lo usi più, sono parole vecchie. Adesso al massimo lo dici in inglese”.
E Fedez ha fatto bene a usare il palco del primo maggio per parlare del ddl Zan?
“Ognuno è libero di fare quello che vuole, ma non ha fatto nulla, né di importante né di straordinario. È la pochezza della nostra testa che fa si che un cantante dica ‘viva il ddl Zan’ e tutti i giornali poi ne parlino. È un episodio privo di valore nella storia degli omosessuali e nella quotidianità. A me non ha fatto nessun effetto”.
Lei è d’accordo con il ddl sulla omotransfobia e se non lo fosse me lo direbbe o avrebbe paura di risultare omofoba?
“Non lo posso dire perché non lo conosco e mi pare che non la conosca nemmeno la maggior parte della gente che ne parla. Io non l’ho letto e non mi pronuncio su una cosa che non conosco fino in fondo. Bisogna leggeralo e io non ho voglia. Preferisco leggere l’Ulisse di Joyce che occuparmi di queste cose. Sono molto vecchia e queste questioni su cui si dibatte tanto per me sono una grande perdita di tempo. Posso avere un mese, un anno, un minuto e allora mi occupo d’altro”.
E Letta le piace?
“A me per ora, perché poi gli amori finiscono, l’unico che piace è Draghi. Perché non è un politico ma sa fare un mestiere che non è il suo e che in questo momento sa fare solo lui. Che è anche quello di aiutare questo paese a uscire da queste discussioni politiche ridicole. Perché tanto è ovvio che alle prossime elezioni vincerà la destra. Per cui è inutile star lì tanto a litigare. Fate vincere la destra e poi tra dieci anni tornerà la sinistra. Se sarà capace di farlo”.
E la stampa come sta? C’è polarizzazione o confusione?
“La stampa si divide tra un giornale come il suo e i suoi accoliti e gli altri giornali quasi democratici come Corriere e La Repubblica. L’unico giornale che forse…no ma questo non lo posso dire”.
Me lo dica pure…
“No, no…non posso! Senta, io ogni giorno leggo The Guardian e New York Times. Praticamente i giornali italiani non li leggo, perché le diatribe tra Salvini e Meloni, o chi per essi, non mi interessano. A me piace il New York Times che in prima pagina ha sempre un enorme foto a colori: un punto del mondo che mi porta là dove la gente muore, non ha una casa o da mangiare. E mi ricorda il mondo, non la provincia italiana. Ormai dovremmo vivere nel mondo, basta un click e parli con uno dell’isola di Pasqua, e invece più possiamo raggiungere il mondo più parliamo del nostro villaggio”.
A proposito del nostro “villaggio”, il caso del figlio di Grillo: cosa ci dice? Per la donna non è cambiato niente o invece sì?
“Io ho cominciato a seguire le cause di stupro negli anni Settanta, i processi erano veramente tremendi e gli avvocati difensori si scagliavano contro la vittima come fosse la vera colpevole. Oggi le cose sono molto cambiate. Infatti mi pare che nessuno abbia preso le parti del figlio. Per cui il video di Grillo mi sembra sia un tentativo di difesa ormai fuori tempo”.
Quote rosa: è una vittoria o una sconfitta?
“Intanto una una cosa di cui non si parla più. Sono roba del passato le quote rosa. Secondo me però erano giuste, perché non basta essere molto brave per ottenere quello che si merita. E siccome sono sempre gli uomini che scelgono la quota rosa è indispensabile. Era, perchè adesso non ci sono più”.
Ministra o ministro?
“Non me ne frega nulla delle parole. Le parole non contano, l’importanza e avere quella funzione. Poi se ti chiami ministro, ministra, ministressao ministrona non ha importanza.
Cosa direbbe a Rula Jebreal che boicotta una trasmissione perché gli ospiti sono tutti uomini?
“Dipende dalla trasmissione. Se la trasmissione è sui baci voglio che ci siano sia uomini che donne. Invece, se è una trasmissione partitica e sono tutti uomini che dicono stupidaggini, mi va benissimo perché così almeno noi donne non facciamo una brutta figura”.
Oggi solo “chi non ha più futuro” ha coraggio di dire quello che molti pensano ma non dicono?
“Io non avendo futuro posso permettermi di dire quello che voglio. Tanti non possono farlo, perché se dicessero qualcosa contro il proprio datore di lavoro probabilmente oggi verrebbero licenziati. Io non ho nulla da dire contro il mio direttore, però, se lo avessi probabilmente lo direi”.
È ancora possibile dire quello che si pensa o non essere conformi al politicamente corretto ci fa paura?
“Francamente mi sembra che si può ancora dire tutto. Se poi degli scemetti ti augurano la morte sui social chi se ne frega. Tanto poi non ti ammazzano”.
Se fosse Biancaneve, vorrebbe le venisse richiesto il consenso, come è stato invocato dalle neofemministe, o si riserverebbe il diritto di dare uno schiaffo una volta sveglia?
“Cosa vuole che me ne freghi di Biancaneve. Io non voglio parlare di queste cose insignificanti, e nemmeno divertenti tra l’altro. Questi discorsi minimi mi hanno davvero stufata. Basta Biancaneve. Faccia la puttana e si diverta”.
Cara Natalìa, te ne freghi un po’ troppo di tutto…e poi Biancaneve non è mai stata una puttana…Ciao!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
.. ILLUMINATA E AL DI SOPRA D’OGNI COSA, COMMENTI NON NE HO, HA DETTO TANTO LEI, L’HO LETTA CON GLI OCCHI GRANDI DI UN BIMBO INGORDO, TUTTA DI UN FIATO, GRAZIE PER AVERLA CONDIVISA
la natalia si legge sempre con grande gusto…….. come claudio!!!
impareggiabile
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