monumento che ricorda la strage di Podhum
da Mario Quaia
Ogni anno, il 10 di febbraio, le destre nostalgiche si mobilitano per ricordare i tragici eventi delle foibe e l’esodo dei Giuliano-dalmati. In verità il ricordo vuole andare oltre: contrapporre i crimini del comunismo (che sono esistiti, intendiamoci) alla prassi ormai consolidata di celebrare la giornata della memoria (in omaggio alla shoah) e il 25 aprile, festa della Liberazione, giornate che hanno segnato l’approdo tombale per tutto ciò che ha rappresentato il nazifascismo. Secondo i primi due firmatari della legge – Menia e La Russa, entrambi protagonisti nella storia del Msi, e già questo la dice lunga – avrebbe dovuto rappresentare un momento di riconciliazione. Dopo 15 anni, si sa, mai ricorrenza fu così divisiva.
Il perché è presto detto: l’Italia non ha mai fatti i conti con il proprio passato. Contrariamente alla Germania, passata sotto la scure dello storico processo di Norimberga, e non solo: ha rimosso i crimini anche dalle proprie coscienze. Capi di Stato e di Governo si sono recati in processione, inginocchiandosi nei campi di concentramento e nei luoghi della memoria di maggiore impatto: da Sant’Anna di Stazzema a Marzabotto, solo per citare luoghi simbolo in Italia. Hanno chiesto perdono e hanno deposto una corona o un fiore nei cippi che ricordano i loro eccidi.
In Italia nulla di tutto ciò. L’esercito italiano di occupazione nell’ex Jugoslavia ha commesso gli stessi delitti dei nazisti. Stragi, esecuzioni di massa, rastrellamenti, devastazioni, incendi di interi villaggi, razzie di tutti i tipi. Eppure nessuno ha pagato. L’ordine del duce era chiaro: “Mettere tutto a ferro e fuoco e dimostrare la determinazione dei soldati italiani”. Il simbolo di queste rappresaglie si chiama Podhum, nell’entroterra di Fiume. Tutti gli uomini di età compresa tra i 16 e i 64 anni (120 in tutto) furono condotti in una vicina cava e uccisi a raffiche di mitragliatrice. Altre centinaia di persone morirono nel campo di concentramento di Arbe.
Dopo la fine della guerra il governo jugoslavo ha chiesto a più riprese la consegna di più di 700 militari ( tra i quali i generali Roatta e Robotti) comandanti del contingente italiano di occupazione per essere processati per crimini contro l’umanità. La loro estradizione non fu mai concessa. E nessun politico italiano si è mai recato in quei luoghi per chiedere perdono o deporre un fiore. Come nulla fosse accaduto.
E io da italiano mi vergogno, ma mi vergogno proprio.
Anche io mi vergogno di questo nostro sempre ambiguo comportamento. Tutto nell’indifferenza e vittimismo.
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