Capitò che, dopo che avevo intervistato 500 persone, a qualcuno venne in mente di intervistare me. Lo fece Anna Tagliacarne, per Grazia. Conflitto di interessi gigantesco. Anna era stata mia redattrice a “Cuore”. L’intervista venne bella. Titolo: “Ho vinto il concorso bimbi belli”
Quando ha iniziato a scrivere, lo pagavano 100 lire a notizia. Poi ha fatto l’inviato per i maggiori quotidiani e riviste italiani. E’ stato uno strambo direttore: non a caso gli editori preferiscono che scriva. E’ passato dalla direzione di Sette (ora Magazine del Corriere della Sera) a quella di Cuore, a quella Gente Viaggi. Si è persino adagiato sulla poltrona di Padreterno (con tanto di barba bianca) a Bombay, il programma di Gianni Boncompagni su La7. Di certo, Claudio Sabelli Fioretti è il più noto tra gli intervistatori d’Italia. Con intelligenza e un’infinita faccia di bronzo ha affettato politici e giornalisti, attrici e industriali. Stavolta, però, tocca lui dire la sua.
Mai avuto voglia di strangolare un intervistato? «Sì. Alain Elkann. Ha interrotto l’intervista a metà, non ho mai capito per quale ragione. Forse per non parlare degli eredi Agnelli. Poi mi ha telefonato 37 volte chiedendo se ero incazzato. Ho fatto il signore e ho detto di no. Invece ero una iena». La persona che ti ha fatto faticare di più? «Ciriaco De Mita, per via del suo linguaggio pazzesco. Ho impiegato il doppio del tempo per tradurlo». E qual è stata la più maleducata? «Michela Brambilla. E’ arrivata con un’ora di ritardo». Il più simpatico? «Sandro Bondi. Esistono due Bondi: quello che ho conosciuto io, gentile, e quello che appare in tv, orrendo. Uno è l’imitatore dell’altro». Cos’ha fatto per stregarla? «Si è mostrato per quello che è. E mi ha fatto vedere tutto: anche il Mausoleo del Cavaliere, che abbiamo visitato Montanelli, io e forse Giorgio Bocca. Il buon Bondi non lo ammette, ma soffre perché non è previsto un loculo per lui tra quelli di Dell’Utri, Previti, Confalonieri eccetera». La persona più antipatica? «Un’attrice. Ida De Benedetto. Non voleva che l’intervista fosse pubblicata e ha chiamato persino Cesare Romiti, che a sua volta telefonò a me dicendo “Ma questa chi è?”. Ovviamente il pezzo uscì». Mai trovato in imbarazzo durante un’intervista? «Bè, sì. Con Carla Bruni. Mi raccontava che dietro le quinte quando una modella si spoglia e si riveste i sarti la toccano da tutte le parti. Per farmi capire meglio mi toccava». Carla Bruni l’ha toccata? «Sì, sono stato toccato da Carla Bruni». Dove? «In parti lecite. Le spalle. Le gambe. Il viso. La pancia. Io sono arrossito tantissimo». La sua migliore intervista? «Dicono sia l’ultima. Quella al Principe Carlo Caracciolo, sul quotidiano La Stampa. Ma non posso essere io a dirlo». Quella che non avrebbe voluto fare? «Sergio Japino. Ho dimenticato a casa le quattro cartelle di domande che avevo preparato. Il risultato è stato il vuoto pneumatico. Vuoto io, vuoto Japino. Non feci uscire nulla. Nessuno seppe mai che avevo fatto un’intervista di merda». Chi non ti si è mai concesso? «Tanti. Silvio Berlusconi, Lilli Gruber, Vincenzo Mollica, Henry John Woodcock». Avevano paura? «E’ un diritto rifiutare le interviste. Per un magistrato è più comprensibile, ma, nel caso dei colleghi, lo capisco poco. Al Cavaliere ho mandato messaggi, mail, gli ho telefonato, gli ho parlato tramite i familiari, mi sono fatto raccomandare da Bondi e da sua figlia Barbara. Deve pur aver visto che non sono un molestatore. Ma credo che preferisca parlare con giornalisti amici suoi». Il più voltagabbana dei voltagabbana? «Maurizio Bertucci, giornalista Rai. Era passato da Forza Italia all’Udeur, e mi aveva detto che era stato un grande travaglio. Un mese dopo passò dall’Udeur a Forza Italia. Doppio travaglio». Le hanno mai dato del voltagabbana? «No». Nemmeno una donna? «Le donne mi hanno sempre lasciato. Sono loro le voltagabbana». Che effetto fa interpretare il Padreterno per in tv? «Magnifico! Andavo alla posta e mi dicevano: “Qui ci vorrebbe lei per sistemare tutto”. Il bello è che mi sono immedesimato. Passavo per strada, sentivo uno che diceva la parola Padreterno, e mi voltavo». Perché l’ha fatto? «Narcisismo puro». Il più grande errore di valutazione su una persona? «Walter Veltroni. Pensavo che rappresentasse l’ala buonista della sinistra. Invece è perfido». E’ stato definito impertinente, schietto, anticonformista, inaffidabile per gli editori, un po’ scentrato: in quale di queste definizioni si ritrova? «Schietto no. Anticonformista forse, in mezzo a tanti conformisti. Impertinente no. Inaffidabile per gli editori, in parte sì. Un po’ scentrato? Questo è vero». Prima le hanno detto: “Sei il Dna del giornale”. Poco dopo non scriveva più sul “Magazine” del Corriere. «Forse stato l’unico caso in cui il Dna se ne è andato dal corpo e il corpo se n’è fottuto. Gli editori sono così». Il primo voto? «A scuola ero DC, in quanto chierichetto di Cristo Re. Ma per diventare ateo il primo passo è proprio quello. Il primissimo voto fu liberale. La conversione avvenne nel ’68, quando arrivai a Milano, dove sono diventato un pericoloso comunista». Poi è sempre stato di sinistra? «Sì. Anche se, quando mi sposai per la prima volta, con Francesca, che era liberale, facemmo una media. Lei non votò liberale e io non votai comunista. Tutti e due Pri. Che vergogna». E poi? «Sempre sinistra del Psi. Da Lotta Continua, al Pdup, al Manifesto a paccottiglia varia». Lei ha detto che è più divertente intervistare quelli di destra, perché? «Quelli di sinistra sono sempre tutti corretti e perfettini. Quelli di destra sono cialtroni, pieni di complessi, Pur di apparire dicono di tutto». Com’era da bambino? «Bellissimo. Avevo i riccioli e mia mamma era orgogliosa perché, a quattro anni, vinsi il concorso “Bimbi Belli” di Riccione». Era buono? «Buonissimo. Ma, se facevo qualcosa, mia madre picchiava mia sorella, che, per questo, ancora ce l’ha con me». Adesso, almeno, è un uomo maturo? «Sì, ma da poco». Ci soffre? «No. Maturo non significa prudente». E che vuol dire? «Vedere bene le cose. Per esempio, guadagnare la metà e fare un anno sabbatico». Facciamo il gioco della torre, come nelle sue interviste. Butterebbe Paolo Mieli o Eugenio Scalfari? «Scalfari». Perché? «Quando mi accorsi di aver sbagliato, lasciando La Repubblica, telefonai a Gianluigi Melega e gli dissi: “Torno in ginocchio con il capo cosparso di cenere”. Lui andò da Scalfari, sentii i suoi passi in diretta. Tornò e riferì: “Neanche morto”. E io neanche morto tornerei in un giornale diretto da lui». Preferirebbe diventare molto ricco o molto bello? «Sono già molto bello. Non mi resta che molto ricco».
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