Ci scriveva allegro e scanzonato. Era uno di noi. Non perdeva occasione per prendermi in giro. Io non sapevo niente di lui. Non sapevo che da quando aveva 12 anni gli era stata diagnosticata una malattia terribile. Non sapevo che era immobilizzato in un letto, che non poteva muovere nulla, che respirava grazie alla tracheotomia, che tutto quello che faceva lo faceva grazie a sua moglie, Mina. Poi, pian piano, ovviamente, cominciai a capire. Sentite che cosa scriveva Mina: “Gli piaceva prendere in giro Claudio che ancora non sapeva del suo stato fisico. Ricordo vagamente che Claudio lo aveva invitato a Salina. Naturalmente, mi pare, Piero aveva trovato una scusa. Si inventava ricette gustose e vi abbinava preziosi vini. Raccontava delle balle tremende su cosa mangiasse e quali vini bevesse. Povero Piero, davvero, erano anni che non poteva più mangiare nemmeno le cose più semplici”. Piergiorgio Welby divenne un caso nazionale. Non ce la faceva più, voleva staccare la spina. Ma non glielo consentivano. Scrisse ai direttori di tutti i giornali. Scrisse al presidente della Repubblica. Giorgio Napolitano. Divenne una bandiera di tutti quelli che pensavano che ognuno avesse il diritto di disporre della propria vita. Scrisse un libro, “Lasciatemi morire”. Alla fine ottenne che un medico anestesista pietoso e coraggioso lo aiutasse. Era il 20 dicembre 2006. Una data che ricorre in questi giorni. Come ricorre la data della sua nascita, esattamente oggi, ma di 75 anni or sono. La Chiesa gli negò i funerali religiosi con una strana motivazione. “Il suo suicidio è stato concepito e realizzato con l’obbiettivo di promuovere una legge sull’eutanasia”. Cioè: prima la politica e poi il vangelo. Piergiorgio rimase carico di umorismo fino alla fine. A chi stava organizzando la sua “dipartita” disse: “Fatelo dopo la trasmissione dei pacchi, non voglio perdermi Affari tuoi”. Sul suo sito personale, il Calibano, che sua moglie Mina continua (su sua richiesta) a mandare avanti, aveva pubblicato una divertente poesia.
Camminavi ancheggiando percorrendo il viale guardando l’andatura ho detto mica male
quando ti sei seduta ordinando un caffè vuoi vedere ho pensato che aspetta proprio me
mi sono accomodato li davanti a te dall’interno veniva il ritmo di una samba
io piano ti strusciavo la gamba con la gamba tu rimanesti altera pensai che donna in gamba
che splendida emozione che donna eccezionale tu mi dicesti attonita senta la vuol piantare
non vede che mi svita la gamba artificiale?
In questi giorni, così legati alla nascita e alla morte di Welby, ho voluto ricordarlo a vantaggio di tutti quelli che lo conobbero attraverso il nostro blog, e di coloro che non sanno nemmeno chi fosse. A loro consiglio di leggere i suoi due libri, “Lasciatemi morire” e “Ocean terminal”, e il libro di sua moglie Mina, “L’ultimo gesto d’amore”. E perché no, anche il libruccio che noi del blog gli dedicammo (“Ciao Welby”), raccogliendo tutti i post che ci aveva mandato, attaccando i politici che non gli piacevano (soprattutto Sirchia), interagendo con tutti noi, parlando di politica in maniera arguta e divertente, dibattendo sull’inconcepibile aumento del prezzo del cetriolo, e naturalmente prendendomi per il culo. Nel pieno dell’insopportabile male che lo costringeva a vegetare, mi scrisse: “Caro Claudio, capisco la tua sofferenza, stare a Salina deve essere duro”. Piero (questo era il nome con il quale lo chiamavano gli amici e sua moglie), era allegro, spiritoso, ironico, leggero. E lo è stato fino alla fine. Ci scrisse: “Celio, celio, un po’ per gioco e un po’ per non morire”.
e grazie al blog ho conosciuto mina, donna minuta e immensa, che sembra fragile ma è fatta di tungsteno. ogni tanto ci scriviamo ancora, per le campagne dell’associazione luca concioni e altro, ci scambiamo ogni tanto auguri e pensieri. caro piero e cara mina, grazie sempre
coscioni, mannaggia a correttore
tenero e bellissimo ricordo. grazie
un Uomo e una Donna dai quali abbiamo molto da imparare.
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