Ho cominciato questo mestiere facendo il giornalista sportivo, come mio padre che era direttore del Corriere dello Sport e che fu il primo radiocronista di calcio. Solo per dire che so di che cosa sto parlando. Sto parlando dei telecronisti tifosi. Che cominciano la telecronaca urlando forza Italia forza azzurri. Roba da terzo mondo sportivo e culturale. Telecronisti che parlano della squadra usando il pronome «noi», che di un avversario che sbaglia dicono «per nostra fortuna non ha colpito bene il pallone», che si trasformano anche in commissario tecnico. «Non dobbiamo fare questi passaggi, piuttosto palla indietro al portiere». Oppure: «Io Balotelli non l’avrei fatto uscire». In compenso, mentre le telecamere indugiano su volti noti e seminoti sulle tribune, si guardano bene di dire i loro nomi. Dicono anche «se nessuno protesta come facciamo a convincere l’arbitro che era fallo?» Insopportabile. Il giornalista sportivo non deve fare il tifo, deve raccontare, dire i nomi, spiegare il regolamento, rendere l’atmosfera, trasmettere l’emozione. Il tifo lo facciamo noi. È come se il giornalista politico facesse il tifo per un politico o per l’altro. È come se il giornalista economico facesse il tifo per un amministratore delegato o per l’altro. Come dite? Vabbé, faccio finta di non aver sentito.
Rimpiango “Novantesimo minuto” alla Paolo Valenti: tante immagini, pochi fronzoli, passione e competenza sportiva
GOOD SHOW SABELL !
io abbasso il volume perchè mi fanno venire il latte alle ginocchia
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