“La privacy, la privacy!” Tutte le volte che un interesse privato viene in qualche maniera minacciato si leva alto il grido di allarme. “La privacy!”. La privacy è il diritto alla riservatezza della vita privata di una persona. Ma è un valore assoluto, applicabile sempre e ovunque? Non è così facile. Pensate che non si sa nemmeno come andrebbe pronunciata la parola. Praivasi? Privasi? Boh. Io odio persino la parola privacy. Perché ognuno pensa che la privacy sia sempre e soltanto quella sua. La mia privacy è la privacy. La vostra privacy? Chissenefrega. Comunque la privacy, di chiunque sia, è una grande rottura di palle, spesso reclamata per difendere oscuri interessi, spesso inutile, quasi sempre invocata per non dire di sé cose imbarazzanti. O permettere che vengano dette. Un concetto pieno di contraddizioni. L’attricetta che cerca di affermarsi chiama i fotografi nel ristorante dove sta cenando con un produttore famoso. Ma quando diventa un’attrice famosa li allontana con disprezzo rivendicando il diritto alla riservatezza della sua vita. Ognuno ha la sua idea di privacy, esistono mille idee di privacy. Il giudice in tribunale: lei si dichiara colpevole o innocente? “Vostro onore, sta scherzando. E’ questione di privacy”. Il padrone in azienda: che cosa sta guardando sul computer? Sta per caso giocando a burraco? “Non si permetta! Ho diritto alla privacy”
La cosa bella è che tutti i giorni, a tutte le ore, la nostra privacy è continuamente violata a nostra quasi insaputa e nella totale indifferenza della gente. I cookies ci spiano e raccontano a chi vuole pagare tutte le nostre abitudini. Google, Facebook, tutti i social scandagliano la nostra vita telematica, si impadroniscono delle nostre malattie, dei nostri gusti, delle nostre voglie, sanno se siamo pedofili, se siamo infedeli, se ci piace la Nutella, se siamo litigiosi, se crediamo in Dio. Sanno tutto. Eppure, adesso, molti di noi si scandalizzano se una “app” un po’ invasiva vuole impadronirsi dei nostri movimenti per monitore se e quante volte usciamo. Da notare: stiamo parlando di una cosa probabilmente anonima e sicuramente a base volontaria. Cioè: io metto questa “app” (Immuni) sul mio cellulare (se voglio) e la “app” segnala chi incontro e per quanto tempo (in forma anonima). Eh no amici miei. Mi appello alla privacy. Cioè, da una parte una fisima, dall’altra decine di migliaia di contagi mortali da combattere. Non c’è niente da fare, mi viene spontaneo: chissenefrega della privacy.
E no!… Io me ne frego e come della privacy. La riservatezza dei dati personali fa parte della libertà di ciascuno di noi e certe notizie private date in pasto a non so chi, potrebbero prima o poi, secondo le occasioni del momento e le necessità di alcuni, recare danni anche irreparabili addirittura alla nostra vita. Ora c’è la moda mediatica di promuovere l’ App decisa dal Governo. Su indicazione di chi non è concesso di sapere. Conosciamo solo la scusa del bene comune. Ma per piacere!… Occhio al grande fratello, non è lì per il nostro bene, ma solo per il suo e per i suoi amici. Quando me ne accorgo, evito accuratamente di visitare i siti dove l’accettazione dei cookies è obbligatoria. Purtroppo qualche volta casco nel tranello, il che significa che chi mi deve tutelare è in tutt’altre faccende affacendato.
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