Lasciamo la bolgia della movida di Hanoi diretti verso il profondo nord, puntando verso la frontiera con la Cina. Arriveremo a pochi chilometri dalla Cina e visiteremo le minoranze etniche vietnamite. Si tratta di un giro impegnativo tra le splendide montagne del Vietnam del nord (mi raccomando la minuscola) percorrendo su un Transit una strada fantastica senza il minimo rettilineo, larga abbastanza per far passare una macchina, talvolta un camion, raramente entrambi.
Mangeremo in ristoranti improbabili ma bene. Dormiremo, stanotte, in qualcosa di simile ad un agriturismo, dove i gestori, simpatici, gentili, eleganti, ceneranno con noi avendoci cucinato una cena deliziosa, ridendo e scherzando senza capire una parola di quello che ci diciamo e bevendo grappa. Lui, Hang, assomiglia spiccicato al mio direttore, Carlo Verdelli. Lei è una splendida nonna di 45 anni. Oggi mi ha colpito una cosa oltre la bellezza delle montagne carsiche ricche di colline a forma di ripidi coni: non si vede un cartellone pubblicitario, non si vede propaganda politica sui muri, non si vedono ritratti di Ho Chi Minh, non si vedono preti o monaci, non si vede miseria. Nessun bambino ti corre dietro chiedendo elemosina. E sono tutti vestiti bene e puliti. Non si vedono pagode, moschee o chiese. Si vedono stupende valli piene di piccole risaie, anche sulle pendenze, di orti curatissimi, di campi di mais. Vediamo anche tante donne lavorare. Dormiamo su quello c he i giapponesi chiamano futon, praticamente per terra. Dopo aver insegnato a Barbara a giocare a burraco. E naturalmente lei vince.
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