Sulle rapide, sereni
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Déjeuner sur le glacier
Ed è subito plankng
Avrei dovuto capirlo subito, quando mi hanno detto di indossare il casco. Come? Il casco per un trekking? Ho cominciato ad avere qualche sospetto quando mi hanno fatto firmare la liberatoria. Come? La liberatoria per una gita sul fiume in battello? Il battello si chiamava Patagonia Jet e andava ad un casino di chilometri all’ora. Ma dove andava?
Andava ad un casino di chilometri all’ora su un torrente in salita volando sopra le rapide. Diciamolo: da cagarsi sotto. Lui, Philippe, il proprietario di Terra Luna, il lodge che ci ospita in questi giorni, si divertiva un mondo manovrando il Patagonia Jet come un pazzo, tra un masso, un tronco e mille gorghi. Ma lui è uno che l’Everest gli fa un baffo, figurati il Leones, il fiume grazie al quale stavamo andando fin su al Lago Leones e fino in fondo, proprio sotto al ghiacciaio Leones, il ghiacciaio che introduce al Campo de Hielo Norte. Ebbene sì, alla fine ho toccato il ghiaccio del Campo de Hielo Norte. Non solo, ho anche bivaccato sul ghiacciaio Leones. Mentre sinistri rumori segnalavano il distacco di enormi blocchi di ghiaccio, sia sul fronte che al suo interno, noi eravamo lì come fosse la cosa più naturale del mondo. Abbiamo perfino fatto un planking, su una lastra di pietra inclinata pericolosamente. Il lago Leones è un lago molto grande. Ma una volta non c’era, era tutto un ghiacciaio. Su una riva del lago Philippe ci porta a visitare la sua casa del week end. Ha costruito con pietre e ferro, tutto coperto da teli di plastica mimetici, due o tre stanze con luce elettrica, acqua corrente, gas, riscaldamento, connessione internet e tanti letti a castello. Casa (rifugio?) che è anche il punto di partenza di tutti gli alpinisti che vanno alla conquista delle decine di ghiacciai del Campo de Hielo Norte. Nella sua casa mimetizzata beviamo un tè ristoratore e ci apprestiamo al ritorno. Ormai ci sentiamo un incrocio fra Reinhold Messner e Indiana Jones. Nulla per noi è impossibile. La risalita del torrente Leones ad un casino di chilometri all’ora non la dimenticherò tanto facilmente. O meglio, peggio della salita è la discesa. Philippe si butta sui massi come un cavallo sulle siepi del Gran Prix a Merano. A volte dirige il suo Patagonia Jet contro una barriera di alberi e di rocce e proprio quando tu stai per urlargli che è un assassino, si scopre che c’è un passaggio, minimo, ma sempre un passaggio se si può chiamare passaggio una salto di due metri che Philippe affronta come una libellula. All’inizio della discesa, dove Philippe aveva attraccato e parcheggiato il Patagonia Jet, Philippe ci guarda negli occhi e mi dice: “Vuoi scendere la prima parte delle rapide, quella più impegnativa con il boat?” Ed io:“Ci sono alternative?” E lui: “Puoi fare il primo tratto a piedi”. Ed io: “La prima parte delle rapide, è perigrosa?” E lui: “Perigrosa no. Delicada”. Ed io: “Ok, a piedi” Dopo un po’, mentre scendiamo a piedi, lo vedo mentre vola sulle pietre e penso: “Perigrosa no. Delicada”.
Ma che bello! Vi sto invidiando tantissimo
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