La cosa più importante quando si arriva a Santiago del Cile è scoprire quale sia il vino migliore. E’ il Carmenere. Rosso, L’abbiamo preso subito la prima sera in un ristorante elegante e ci siamo sputtanati 50 euri la bottiglia, ma valeva. Era alla fine di una visita della città un po’ faticosa dopo una giornata passata su taxi, treno, aereo, pullmino. Viaggiare è una fatica e dovete compatirmi. Veramente faticoso divertirsi. L’altra cosa da fare appena si arriva a Santiago è trovare una sim. Io ho trovato la sim ma non funziona in compenso ho comprato un routerino e quello funziona. Come stare a Centocelle. Ho visto una piazza dove si festeggia tutte le volte che una squadra vince, tutte le volte che c’è da far casino, da protestare, da provocare risse. Chiedo come si chiami e la guida, Maria, è un po’ imbarazzata. “Si chiama piazza Italia”. Facciamoci sempre riconoscere. Ho visto anche una delle case di Pablo Neruda, ma era chiusa. Ne vedrò qualcun’altra. Neruda aveva un sacco di case e un sacco di donne. Questa di Santiago si chiama “la ciascona”, la scapigliata, come la sua donna del momento. Ho visto Santiago dall’alto della collina del Cerro, la parte vecchia e la parte nuova. Tutte case antisismiche. I terremoti ai cileni ormai gli fanno un baffo. Domani andremo al deserto dell’Atacama, parleremo di Litio, di osservatori astronomici, di Mapuche. Per adesso attraversiamo il quartiere di Vitacura, quartiere elegante dove le case costano anche 3 mila euro al metro quadro (!) in Italia ci compri una catapecchia e in affitto arrivano anche a 500 euro al mese (nemmeno la catapecchia). Comincia la mia ricerca sul nome Cile. Sembra che derivi da un uccelletto che faceva gorgheggi tipo “cile cile”. Oppure che venisse da una parola chequa, che voleva dire freddo. Adesso è ancora estate e fa molto caldo. Mi parlano molto del Pisco, che è una specie di grappa ma dolce. Tutta roba da provare. Faccio le prime esperienze dell’ipocrisia cilena. L’aguardiente, che è un’acquavite, si chiama “once” perché ha undici lettere e quindi uno poteva dire che beveva l’”once” senza confessare di essere un alcolizzato. E poi ho scoperto i caffé con le gambe, nella zone centrale, dalle parti degli uffici amministrativi, tipo tribunali. Uno diceva: “scendo nel caffé con le gambe”, e in realtà il caffé c’era, ma c’erano anche le gambe in vendita delle “signorine”. Ed è subito Atacama.
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