Tranquili: la giacca a vento gialla è tornata al suo legittimo proprietario. Qui non si perde niente. Passata la giornata a Purmamarca, ubriacato dai sette colori delle montagne, sono di nuovo sul “colle”, come viene familiarmente chiamato il collectivo, l’autobus, in direzione di Tilcara. Ho appena incontrato Luciano, fotografo di Viterbo. Poi all’arrivo a Tilcara incontro Ute, tedesca di Westfalia che mi lascia perplesso: viaggia con un mini zaino. Chiedo spiegazioni e la risposta mi lascia perplesso: non c’è bisogno di niente per viaggiare. Ma forse è il mio spagnolo che ha qualche défaillance. Con Ute andiamo nella città antica Pukara, mezza ricostruita e mezza no, su un colle costellato di cardon, un cactus che può assumere anche dimensioni enormi e che viene anche usato come legna da costruzione, da carpenteria e da mobilificio. Ute entra dentro tutte le decine di case di pietra ricostruite nelle quali non c’è assolutamente niente e ci rimane interminabili minuti. Forse è il sole cocente che la ispira. Un attimo e le nostre sue strade si dividono e si perdono. Io penso che contro il sole cocente non c’è niente di meglio che andarsene a Humahuaca. Ma prima faccio una breve visita al giardino botanico attirato da una grossa “perda campanaria” che ha un suono incantevole. Ed è subito Humahuaca. Paesetto incantevole con solito mercatino e tanti ristoranti e tanti albergherei. Io vado nel pallone e scelgo il peggiore. Non bastasse finisco in un ristorante dove due cantanti suonatori mi fanno andare di traverso lo stufato di Cordero. Passo la giornata girovagando per le stradine. L’ufficio del turismo non mi dà grandi suggerimenti. Peccato perché con una escursione di sole tre ore si poteva arrivare ad un mirador dove era possibile dare un’occhiata ad un paisaje fantastico: le montagne dai quattordici colori roba da far morire di morbillo quelli di Purmamarca. Humahuaca ha una quantità incredibile di cani simpaticissimi di ogni razza. Ti si appiccicano addosso e non ti mollano mai. C’è il sospetto che abbiano fame ma io preferisco pensare che cerchino compagnia. Appena mi siedo su una panchina arriva un cane che si accuccia sotto e non se ne va finché non me ne vado io. Anche queste sono soddisfazioni. Spero che Billie, la mia pastora australiana, non legga queste note.
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