Primo giorno
Sono solo. I miei dieci compagni di viaggio tornano in Italia ed io prendo un volo alla massacrante ora delle sei e cinquanta (sveglia alle quattro) per Salta, nord ovest di Buenos Aires. Salta è una cittadina coloniale spagnola dove gli abitanti sono come io immagino fossero gli incas. Alla faccia dei commercianti borghesi italiani ai quali viene l’orticaria appena sentono parlare di isola pedonale, a Salta il centro è chiuso al traffico e c’è un casino per le strade affollatissime di gente che passeggia, compra, consuma. Nella piazza grande centrale, tipica dell’urbanistica coloniale spagnola, c’è un notevole seppur piccolo museo dell’archeologia di montagna (si parla dell’aconcagua quasi 7 mila metri), delle cime sacre, della rete stradale rituale andina, dove sono conservati ed esposti i corpi dei due bambini e della donzella, che furono sacrificati 500 anni or sono agli dei e che sono giunti intatti fini a noi, scoperti nel 1999. Prendo il bus a due piani che mi porta a Calayate su una strada che scende in una stretta valle rocciosa e rossissima. Faccio tantissime foto e tantissimi video anche se non sono riuscito a conquistare una delle quattro poltrone strategiche, in alto e davanti, sopra l’autista..
Arrivo a Calayate e mi perdo, naturalmente. L’autista che doveva ricevermi alla stazione non c’è, è in ritardo. O meglio il bus è in anticipo. E comunque non è lui perché lui, Omar,mi ha comprato da Carlos che ė al capezzale della madre “enferma”. Arrivo in ogni caso nella casa rural di rosa, figlia di Teresa, dopo aver assistito con invidia ad una tombola in piazza. Decido che domani la tombola non me la perdo. Mangio con rosa, insalata fresca e un piatto di polpette, i “cupi”.
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