Il dibattito sul film di Checco Zalone imperversa ed io non vorrei rimanerne escluso. Come ha scritto molto bene Oliviero Beha, proprio ieri sul Fatto, “il dibattito pubbli- co sembra aver toccato le ci- me più alte sulla filmografia di Checco Zalone”. Il proble- ma serio sembra essere il ruolo e il comportamento degli intellettuali. Soprat- tutto quelli “radical chic”. Io tutte le volte che si parla di intellettuali rimango un po’ interdetto. Chi sono gli intel- lettuali?
Da bambino, quando ero più ignorante ed ingenuo di oggi, pensavo che intellet- tuali fossero quelli che non lavoravano. Poi migliorai e decisi che intellettuali erano tutti quelli che non lavorava- no con le mani. Oggi sono piombato nell’incertezza più assoluta e debbo rifarmi non tanto ad Emile Zola, Fe- lix Faure e Georges Cleman- ceau, ma alla fonte suprema della verità moderna, il Wi- kizionario, secondo il quale intellettuale è: “Persona de- dita all’esercizio della mente nello studio e nella risoluzio- ne delle questioni sociali, na- turali e culturali”. Cioè, an- che un muratore può essere un intellettuale, ma non di- telo agli intellettuali.
INSOMMA anche io potrei es- sere un intellettuale ma non ditelo a mia madre perché si preoccuperebbe. Sembra che agli intellettuali, soprat- tutto a quelli “radical chic”, il film di Checco Zalone non sia piaciuto. Anzi no, sembra che sia piaciuto. Non è chia- ro. In ogni caso tutti si sono precipitati a stabilire quale sia l’opinione degli intellet- tuali, soprattutto quelli “ra- dical chic”, sul film di Checco Zalone. E quindi a questo punto cercare di capire chi siano i “radical chic”. Non so- no, come potrebbe sembrare, estremisti eleganti.
Sembra, sempre secondo la bibbia della conoscenza, Wikipedia, che siano “gli ap- partenenti alla ricca borghe- sia che per vari motivi (segui- re la moda, esibizionismo o per inconfessati interessi personali), ostentano idee e tendenze politiche affini alla sinistra radicale”. Insomma, gente di sinistra con l’attico a Piazza Navona e la villa a Ca- palbio. Nessun intellettuale, tantomeno i radical chic, a- ma autodefinirsi così.
Anche perché uno che de- cidesse di essere un intellet- tuale radical chic non avreb- be mai il coraggio di farsi ve- dere entrare in un cinema in cui proiettano Checco Zalo- ne. Intellettuale radical chic è quindi una specie di ingiu- ria tipica del conservatore per bollare quelli che non la pensano come lui e non sono dei barboni e per di più hanno anche letto un libro. Quelli di destra, una volta, si lamenta- vano dell’egemonia cultura- le della sinistra senza voler ammettere che era la scarsa voglia di leggere della destra che determinava la superio- rita della sinistra. Tanto è ve- ro che quei pochi destra che leggevano e studiavano (ri- cordate Marco Tarchi?) ve- nivano considerati degli ere- tici, ben visti dalla sinistra e quasi confusi con dei gram- sciani. Caratteristica dell’in- tellettuale radical chic è la spocchia, come ha ben tito- lato il Fatto Quotidiano ieri l’articolo di Raffaele Simo- ne.
Ed eccoci piombati nel pieno del dibattito intrappo- lati nell’abile sistema di mar- keting della Tao di Pietro Valsecchi, produttrice del film di Checco Zalone. La spocchia dell’intellettuale radical chic si manifesta sia quando dichiara che Checco Zalone gli fa schifo con tutto il suo carico di qualunquismo populista grillinesco anti- renziano sia quando dichiara
che è andato a vedere il film ed ha riso dalla prima all’ul- tima battuta. Sempre spoc- chia è. L’intellettuale radical chic è spocchioso e basta. Ma anche stabilito questo, resta da decidere se il film di Chec- co Zalone è politico o sempli- cemente fa ridere.
A PRESCINDERE dal fatto che dividere le due categorie è as- solutamente arbitrario (Gio- vanardi è politico o fa ride- re?) sarebbe facile per me, che sono un sessantottino per colpa dell’anagrafe, dirti che il personale è politico, che tutto è politico, che an- che fare la pipì è politica, co- me vaneggiavamo il sabato al corteo. Anche Travaglio è ca- d u t o a m i o g i u d i z i o n e l l ’ i n- ganno quando ha scritto che Checco Zalone non fa satira politica. In realtà basta stare un po’ attenti per capire quanta critica (non di parte d’accordo ma questo non è un difetto) ci sia in Quo Va- do.
Avendo un’amica profes- soressa siciliana incinta che il decreto della buona scuola ha spedito nel Lombardo Ve- neto massacrando una fami- glia, non ho potuto fare a me- no di vedere nella funziona- ria sadica, quella che sbatte Zalone al polo nord, la faccia renziana del potere. E tutta la saga del posto fisso mi ha fat- to ricordare i migliori film di Alberto Sordi. E non era sa- tira quella? Di costume, d’ac- cordo, di costume. Ma sem- pre politica. Lasciatemi dire, per concludere, che a dispet- to di tutto quello che ho scrit- to, io odio il culturame dei professoroni perché la cultu- ra non si mangia. In fondo a- vevo ragione quando ero pic- colo. Gli intellettuali sono quelli che non fanno un caz- zo.
PS: AL CONTRARIO di Raffae- le Simone io ho visto il film (vergogna Simone, non si pontifica senza il minimo del sacrificio, vedere il film), e pur non essendo un intellet- tuale radical chic non ho riso dalla prima all’ultima battuta e nemmeno mi ha fatto schi- fo. Che mi manchi la spoc- chia? I primi film di Zalone mi facevano scompisciare, questo mi ha fatto sorridere. Ma consentitemi di raccon- tare un aneddoto che fa ca- pire quanto io sia un intendi- tore di umorismo, ironia e sa- tira (ricordate? Sono stato di- rettore di Cuore!). Una deci- na di anni or sono stavo alle- stendo Un giorno da pecora e con Giorgio Lauro avevamo deciso di aver bisogno di un giovane spiritoso e di belle speranze che collaborasse con noi. Mi imbattei in Chec- co Zalone. Prima ancora che lui se ne accorgesse, esami- nai la sua produzione e lo scartai: “Questo, dissi a Gior- gio Lauro, non va da nessuna parte”.
Minchia! Checco Zalone dovrebbe farti un monumento! Pensa che cosa gli sarebbe successo se lo avessi preso!
Commenti chiusi.