da Sandra Bardin
L’Unione Nazionale Industria Conciaria (Unic.it) protesta per l’uso ingannevole del termine “ecopelle” applicato ad altri materiali, come la plastica della finta pelle. Per legge, il prefisso “eco” si applica solo a materiali naturali trattati con criteri che riducono l’impatto ambientale della lavorazione. Giusto, capperi! Tuteliamo le denominazioni certificate! E il consumatore! E’ vergognoso che un divanaccio cheap in sedicente ecopelle ne approfitti per guadagnarci su. Ma mi chiedo: basta diminuire i liquami della conceria per fregiarsi di un titolo di merito? “Ecologico” non dovrebbe essere qualcosa che la natura la rispetta al massimo? L’inquinamento, poco o tanto, non dovrebbe essere illegale? Alla mia anima semplice, il suffisso “eco” evoca oggetti fatti di materiali riciclati anziché pelle – che so: sandali da vecchi copertoni, sedie da giardino in fibre ricavate dai tappi di plastica, etc. Qualcosa che recupera, sfrutta il minimo, potendo non uccide e comunque non offende la natura. Secondo me dovremmo usare il suffisso eco con molta, molta cautela. E concederlo quando davvero meritato.
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