Scartabellando nell’archivio (si dice così ma parlo dell’archivio elettronico, quindi non scartabello un bel niente, mi aggiro tra i files) vengono fuori vecchi articoli che, riletti oggi mi riempiono di soddisfazione. Come questo scritto per Io Donna una decina di anni or sono. La data non la so. Ma si parla di lire e non di euro.
Ero su uno di quei Pendolini che adesso si chiamano Eurostar e ci fanno sentire molto moderni. Ad un certo punto un signore ha cominciato a parlare a voce alta. Mi sono voltato ed ho visto uno yuppie (si dice ancora cosi?) vestito da yuppie che parlava da yuppie con un interlocutore che non potevo vedere perché era coperto da una paratia. “E’ un problema di marketing semplicissimo”, diceva lo yuppie. “Basta cambiare collocazione e il prodotto riparte. Possibile che tu non lo capisca?” Parlava agitandosi, disegnando ampie volute con le mani e guardando fisso davanti a sé. Approfittai del fatto che mi scappava la pipì per soddisfare la mia curiosità e andare a vedere chi fosse quello sciocco che non voleva far ripartire il prodotto. Arrivai all’altezza dello yuppie mentre stava insistendo su “strategia di vendita”, “network”, “consumer benefit”, roteando gli occhi e sillabando con foga le parole. Guardai a sinistra, davanti a lui, per incrociare lo sguardo con quell’idiota che non voleva cambiare collocazione e vidi un finestrino. Prati, cipressi, pecore, casali. Il mio yuppie stava parlando con la campagna toscana.
Guardai di nuovo lo yuppie. “Ma tu non avevi fatto il Master alla Bocconi?”, urlò guardandomi negli occhi.
Il Master alla Bocconi? Io? Ma quando mai? Poi capii. Dall’orecchio destro fuorusciva il filo di un auricolare. Era al telefono, il maledetto. Parlava con chissacchì, a chissà quanti chilometri di distanza.
Decisi in quel momento che qualcosa doveva cambiare nella mia vita per evitare che anche io mi riducessi in quello stato. “Basta col telefonino!”, dissi a voce alta causando sconcerto nel mio yuppie che credeva ce l’avessi con lui. Feci la pipì, tornai al mio posto, spensi il cellulare e cominciai a meditare su come erano cambiati i miei comportamenti da quando quell’incrocio fra un telecomando e una calcolatrice si era intrufolato nella mia vita. La prima cosa che mi venne in mente era quell’esperimento fatto da un gruppo di persone che decisero di non vedere più la televisione. Esperienza devastante. Quello che segue è il diario della prima settimana anti-cellulare.
Lunedi.
Telefono a tutti i miei amici, sul loro cellulare, per farli partecipi della mia decisione. Sono in piena euforia. Come un Testimone di Geova vorrei convincere tutti a fare come me. “Dai, fondiamo il No Cellular Club”, propongo a un amico. Freddezza dall’altra parte. “Ho appena comprato un Tri Band con funzione Wap col quale mi collego in Internet, ricevo le quotazioni della Borsa, invio fax, mando messaggi scritti, leggo in anteprima il “Corriere della Sera” e prenoto i biglietti i biglietti di teatro”. Tu al teatro? Ma se vedi al massimo “Stranamore”! Clic dall’altra parte.
Martedi
Ancora euforia ma comincio a chiedermi: e se buco una gomma? E se ho un ictus? E se voglio prenotare all’ultimo momento un tavolo al ristorante? Non starò prendendo la pericolosa strada dell’anticonsumismo? Come quelli che rimpiangono i bei tempi che furono, quando non c’era lo smog, non c’era il traffico, i cibi erano sani, si scriveva con pennino ed inchiostro e la sera la si passava in piazza a bere un bicchiere di rosso giocando a briscola perché non c’era la televisione? Insomma, mi sto rimbambendo? Mi viene il panico quando mi accorgo che si è fatto sera e non mi ha chiamato nessuno sul telefono normale. Accendo la televisione e vengo sommerso da spot su liberi ricaricabili, lui e lei, solo in provincia, contratto city, ogni genere di diavoleria per convincerti che stai pagando poco quello che in realtà paghi molto. 50 lire al minuto dalle 8 alle 8,30. 120 lire il pomeriggio, ma solo se chiami la fidanzata. 145 lire se telefoni nella stessa procincia ma non di notte. 230 lire se da uno 0348 chiami uno 0337. 155 lire a Natale, Capodanno e Pasqua. E se chiamo di notte la fidanzata nella stessa procincia, che cosa fanno, mi danno dei soldi indietro? E se la fidanzata mi lascia?
Mercoledi
Autostrada Milano Roma. Cinque ore di guida. Mi dico: forza, è la prova decisiva. Mi vengono da fare cento telefonate. Mi fermo agli autogrill. Mi dico: “Vedi? Col telefonino potrei farle guidando”. Mi rispondo: “E perché? Che fretta hai?” Mi controbatto: “Ma ti rendi conto che cosa vuol dire fermarsi in continuazione?” Mi congedo bruscamente: “Ma una volta come facevi?”
Quando arrivo a Roma faccio il bilancio: dieci fermate, venti telefonate nella cabina del telefono. Diciotto delle quali completamente inutili e frutto solo di nevrosi. Due importanti ma senza risposta. “Vedi”, mi dico, “col telefonino avresti potuto continuare a chiamare.
Giovedi
Serata salottiera a parlare del mio esperimento. Mi accorgo di essere entrato in pieno nel tormentone dell’estate. Ah che strazio questo telefonino! Non se ne può più! Ti toglie la privacy! Ti stressa! Diventi prigioniero! Io lo tengo sempre spento! Guarda, hai fatto bene tu a rinunciarci. “E perché non ci rinunciate anche voi se vi stressa tanto?” “Sai è facile a dirsi ma poi…” “Poi che cosa?” “Non si sa mai…” “Non si sa mai che cosa?” “Può succedere…” “Può succedere che cosa?” Andremmo avanti ore se non ci fosse l’intervento risolutore: “Sperimenta tu e poi ci dici”.
Venerdi
Il giorno della crisi. Da un telefono normale ascolto la segreteria del mio telefonino. Ci sono mucchi di chiamate. Tutte mi sembrano importantissime. Ma perché non mi hanno chiamato a casa o in ufficio? Faccio una indagine a campione. Mi rispondono tutti: “E perché avremmo dovuto? Ti abbiamo lasciato un messaggio sul telefonino!” Ecco il corto circuito del cellulare! Se ci rinunci esci dal giro! Quante occasioni avrò perso? Forse dovrei fare come i Vip che hanno il portatore di telefonino. Chiami e risponde il segretario. “Scusa, ma dove stai?” “A giocare a poker” “Col segretario?”. La giornata della crisi comunque passa. Ma comincio a odiare quelli che parlano al cellulare. Li immagino al gabinetto, sotto la doccia, mentre fanno all’amore, quando fanno jogging, sempre col dannato telefonino all’orecchio. Ridicoli. Ma non lo sapete che le onde magnetiche fanno venire il cancro al timpano?
Sabato
“Tuo figlio ha il telefonino?” “Certo”. “Quanti anni ha?”
“Dodici.” “Dodici anni e ha il telefonino?” “Così sto più tranquilla. Sai la droga, le cattive compagnie, di questi tempi”. “Perché lui ti telefona e ti dice: “Mamma mi sto drogando”? E se va sotto una macchina prende il telefonino e ti avverte: “Mamma non preoccuparti ho solo il torace sfondato”?” “Ma non è questo il punto. Io sto più tranquilla perché posso chiamarlo quando voglio”. “Ma non staresti più tranquilla se lo legassi a un palo con una catena?”
Insomma, rompo le scatole a tutti e a tutte. Cerco di convincermi che senza cellulare si può. E si deve. E’ un problema estetico. Avete mai incontrato il plotone del Settimo Cellularisti? Tutti insieme, in aeroporto, appena messo piede a terra, scattano sul telefonino, tutti insieme, compongono freneticamente un numero, tutti insieme, e dicono, tutti insieme: “Sono arrivato, il tempo è così così”
Domenica
E’ passata una settimana. Mi sono disintossicato? Non lo so. Per adesso mi basta non essere uno dei 20 milioni di italiani che usano il telefonino. E poi, che razza di nome. Telefonino. Un giocatttolo. Come quelli finti dei bambini rosa o celesti che fanno drin drin. Mi immagino Gianni Agnelli che dice: “Ti chiamo sul telefonino?”. Sì, ma prima levati il ciucco dalla bocca. Tornando a casa vedo un signore in doppiopetto che tira fuori un telefonino come fosse un revolver, lo guarda, lo rimette nella tasca interna della giacca, ne tira fuori un altro. Fa il numero. C’è qualcosa che non funziona in questa scena. Guardo meglio e capisco: è dentro una cabina del telefono.
Ah ah bellissimo! Vedi come cambiano le cose con il tempo? Impossibile nuotare controcorrente, a volte. E poi perché? Io trovo che il telefonino sia una delle invenzioni migliori dell’umanità e di tutti i tempi. Adoro sentirmi sempre “collegata” con le persone o cose che mi interessano e se proprio voglio farmi un riposino e non avere interruzioni, semplicemente lo spengo. Ma quando lo riaccendo riprendo il filo di tutto. E vuoi mettere la sicurezza di poter fare chiamate utili senza dover aspettare, trovare il gettone, trovare la cabina… in Italia poi, dove 9 cabine su 10 erano distrutte dai vandali… Ma dai, non c’è paragone! Per me il telefonino è sinonimo di libertà totale. Chi se ne sente schiavo in realtà è schiavo di tutt’altro.
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