PARLIAMONE 30 OTTOBRE 2008
UNA GIACCA DA CAMERA. Qualche mio attento lettore conosce forse la mia strenua e perdente battaglia contro l’obbligo di indossare la giacca per entrare in Parlamento. Non sono uno cui piace combattere contro i mulini a vento. Quindi dopo i primi scontri con coloro che volevano che io indossassi la giacca per incontrare qualche parlamentare, ho deciso di arrendermi. O meglio. Ho deciso che avrei cercato in tutte le maniere di evitare di essere costretto ad avere bisogno di frequentare Camera e Senato. Ritengo questa faccenda della giacca un residuo di medioevo (ed è già tanto che non ci sia l’obbligo della parrucca). Non vedo veramente nessun motivo razionale perché una persona debba essere costretta ad indossare un indumento scelto da altri come se questo indumento significasse di per sé decoro e dignità.Se arrivo con una giacca a pois? Debbo provarci, E con una giacca rosa a righe bianche? Potrei provarci, perché ce l’ho. Se arrivo con una giacca di pelle con le frange tipo Davy Crockett? Vorrei vedere. Se arrivo con una giacca sporca piena di macchie di sugo di pomodoro? Chissà. L’unica cosa certa è che se arrivo con un cachemirino elegantissimo che costa quanto quattro giacche non mi fanno entrare. Non sono degno della Camera.In attesa che in Parlamento decidano di dare l’avvio a questa fondamentale rivoluzione della giacca magari smettendola per un attimo di dibattere sul prossimo presidente della Commissione vigilanza Rai, io faccio a meno di frequentare la lobby della giacca da Camera.Capita però che stamattina , richiesto dal ministro Mara Carfgana di presentare il suo libro “Stelle a destra”, edito dal mio editore, Aliberti, mi presento sul luogo del misfatto convinto che si tratti di una delle tante sale per conferenze romane. Invece no. Si tratta di una delle tante location di proprietà della Camera dei Deputati. E in quanto tale vige la legge transitiva. Cioè: giacca. Ignaro, mi presento con il mio golfino arancione. E vengo subito stoppato all’ingresso da personale addestrato. Il metal detector suona. Escluderei che sia addestrato a reagire alla mancanza di giacca. Evidentemente ha beccato del metallo. Ma è solo la giacca mancante che indigna gli addetti al cerimoniale.“Bene”, dico, “dite al ministro che non ha più il conduttore”. Vengono fuori, una alla volta, molte persone incredule che un pirla possa impuntarsi su una stronzata simile. Essù, si metta questa giacca che le forniamo noi. Io spiego che no, che ci tengo ai miei stupidi principi. Che io sono elegantissimo con il mio golfino arancione. Viene fuori anche il ministro Mara. Molto gentilmente mi chiede se non potrei fare una deroga al mio principio. Molto gentilmente io le chiedo se non si potrebbe fare una deroga al loro principio. Dopo quindici minuti, e l’intervento di non pochi mediatori, si scopre che sì, si può fare una deroga al divieto di mancanza di giacca . E vengo fatto entrare. Mi sento un eroe, l’autore di un’impresa da Guinness dei Primati, l’uomo che ha infranto un tabù. E devo ammettere. E’ merito di un ministro di destra, donna, giovane se una stupidaggine formale è stata temporaneamente dimenticata. Sono forse il primo rompicoglioni che è entrato di luogo sacro senza giacca. Non so se mi spiego.Ma la giornata non è finita. Nel pomeriggio ho appuntamento con Alessandra Mussolini (non mi privo di nulla). Mi presento a palazzo San Macuto con il mio golfino arancione. Aaargh! Manca la giacca!. Anche qui? Sì, è territorio sacro anche San Macuto. Non ne posso più. Ero convinto di aver cambiato la storia d’Italia mentre invece c’è ancora molto cammino da compiere. D’altra parte la rivoluzione non è un pranzo di gala. Ma non ce la faccio a ripetere la mia ottima performance del mattino. Una piccola battaglia l’ho già vinta. Mi attesto su quelle posizioni. Decido di essere magnanimo e indosso obbediente una giacca blu in dotazione all’ingresso. Salgo nell’ufficio di Alessandra. Mi tolgo subito la giacca. Poi mi scappa la pipì e vado in bagno. In fondo a destra. Fuori del bagno mi ferma una signora in divisa. “Lei chi è?”. Declino le mie generalità. “E la giacca?” Las giacca? Ma debbo fare solo la pipì. Capisco il messaggio. La pipì si fa in giacca. Ma se torno dall’altra parte del corridoio a mettermi la giacca me la faccio sotto. Ottengo una deroga. Per questa volta pipì senza giacca. Anche questa sembra una rivoluzione. Pipì senza giacca. A San Macuto. (csf)
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