da Pier Franco Schiavone
Erano gli anni ’60. La primavera e l’estate erano stagioni spensierate, di giochi e di sudate. In autunno si faceva appena in tempo a sorseggiare il mosto che tutti producevano in paese e già la stufa in terracotta della mia aula, a scuola, divorava legna. Nevicava, tanto; ho il ricordo di un paesino bianco, di suoni attutiti. La campana del campanile maggiore faceva toc-toc. La neve si accumulava, il fondo stradale si alzava di mezzo metro e cambiava così anche la dimensione del paese ai miei occhi. Era il tempo dei ceci arrostiti e di lunghe serate, sognando con Nembo Kid, ed era il tempo dei racconti di mia nonna davanti al focolare. Storie di orchi e di ammazzamenti, di bambini divorati e principesse infelici, racconti forse ispirati da Giovanbattista Basile, che gli anziani ripetevano oralmente. Era il tempo del silenzio, davanti al camino, appena violato dalla voce flebile della nonna e dal ronfare del gatto. Le scintille che salivano lungo il camino erano diavoli ipnotizzanti, il crepitio del fuoco e il sibilo del vento, lamenti di dannati, eppure mi addormentavo senza incubi, tanto c’era mia madre. Questo mi ha fatto venire in mente Nguyen, e non so perché.
Nessun commento.
Commenti chiusi.