da Valerio Morucci
Scrivendo densità di vita vissuta, gentile Massimo Mai, intendevo di esperienze non di semplici eventi. A esempio per i ragazzi dalle elementari alle medie: viaggi, gite culturali, corsi di teatro, letture, ricerche in Internet, e molto altro. Quindi, se l’esperienza è crescita, maggiore densità di crescita in una stessa unità di tempo. Fattore di modificazione che vale per le persone ma anche per la società. Quindi uscire dopo dieci anni di carcere in questo XXI secolo può valere – nei rapporti familiari, interpersonali e in rapporto alla ‘tecnologia’ dei processi lavorativi – a un tempo doppio che negli anni ’30 (solo per indicare una maggiorazione non certo come calcolo matematico). Vale a dire che dopo dieci anni di carcere, oggi, un padre può ritrovare un figlio quattordicenne che è praticamente marziano rispetto a lui. Cosa che non avveniva negli anni ’30. Idem per il lavoro. Se si finiva in carcere negli anni ’30 con una qualche competenza professionale, quella sarebbe valsa a un possibile reinserimento anche dopo dieci anni. (Ma anche fino ai ’50). Oggi, poniamo un meccanico di automobili, uscendo dopo dieci anni rischierebbe di rimanere tagliato fuori dal mercato del lavoro, perchè le automobili vanno a elettronica, e solo secondariamente a benzina.Ma non sarebbe mio intento con queste succinte note suscitare ragionamenti ‘tecnici’ – che andrebbero lasciati ai tecnci – ma soltanto una qualche riflessione sull’istituzione carceraria che, per essere una struttura coercitiva di non poca violenza, è possibile che sia data un po’ troppo per scontata come risposta alla devianza sociale. Riflessioni da parte di cittadini, secondo coscienza sociale e non secondo una reazione passionale, perchè è in nome dei cittadini – quindi con il loro assenso-consenso – che si condanna al carcere.
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