Per alcuni è un pettegolo, un seminatore di zizzania, un superficiale. Per altri è un giornalista libero, informato, coraggioso. La maggior parte dei computer delle aziende e dei giornali italiani hanno il suo sito, Dagospia, perennemente aperto sui loro monitor. Lui, Roberto D’Agostino, incassa 300 mila visite al giorno e anche tante querele. «Soprattutto da altri giornalisti», si lamenta.
Da chi per esempio? «Dal Corriere della Sera. Ostellino, Folli, Ermini…»
Lo stesso Romiti… «Con lui ho risolto con una bella cena. Gli altri sono stati tremendi. Io mi aspettavo querele da banchieri, da politici, non da colleghi. E poi che cifre! Condannato a pagare 160 mila euro a Ostellino, per aver scritto che voleva tornare a dirigere il Corriere. Follia».
La rubrica di Dagospia più famosa è Cafonal, la foto-cronaca di Umberto Pizzi delle cene dei salotti romani… «Il cafonalesimo è la cafoneria trasformata nel massimo rito sociale della comunicazione. Cafonal è l’esibizionismo pacchiano che travolge tutti. Tutti vogliono comunicare agli altri chi vorrebbero essere, tentando di far dimenticare chi sono veramente».
Il campione del cafonal? «Il cafonal per eccellenza è Berlusconi, l’irresistibile parvenu brianzolo. Felice di aver messo un piedino nel salotto buono di Mediobanca. Quando Mediobanca non conta più niente, destinata ad essere inglobata dalle Generali».
Altro cafonal? «Anna Finocchiaro. Atteggiamento da infermiera sadica (“Vieni qui, che ti infilo la supposta”). E poi va alla cene dell’Angiolillo con un groviglio di peli di un branco di lupacchiotti spiaccicati spacciati per un cappotto. E Veltroni. Il buonismo è cafonalissimo ipocrita».
Cafonal economico? Ricucci? «Ma no, Ricucci non è cafonal, è ruspante».
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