DALLA PARTE DI MARSHA da Adele Castellani “Vieni a trovarmi, sto nel centro esatto del mondo” le aveva detto, e Marsha lo aveva guardato con l’interesse di un ragno per una mosca. Era carino e doveva sapere assai poco delle donne dell’Upper East Side se esordiva con una sciocchezza simile che lo rendeva così appettibile come perfetta preda del più bel gioco che esista al mondo: la seduzione. Ogni cosa possiede una velocità critica chiamata anche velocità di fuga, ossia la velocità che un oggetto deve raggiungere per sfuggire completamente alla forza di attrazione della terra o di un altro corpo celeste, o, come in questo caso, di un uomo e Marsha aveva messo a punto una tecnica particolarmente perfetta per sfuggire a quella trappola che è l’attuazione del desiderio maschile. No, non le sarebbe mai successo come ne “Il castello di Axel” in cui i due protagonisti trascorrono una sola notte di passione e di progetti per il futuro e, quando alla dolce luce dell’alba lei dice: “Ora potremo vivere tutto quel che abbiamo sognato”, lui le risponde. “Vivere? A che serve? I servi lo faranno al posto nostro”. Non era più una ragazzina e sapeva quel che desiderava: un uomo, essere una coppia, dei figli. Sapeva che gli uomini non amano la parità con le donne soprattutto quando c’è di mezzo la sessualità, perché hanno paura della sessualità femminile quando questa non è attivata al loro comando e nelle modalità che loro possono controllare, e che difronte all’intraprendenza femminile, l’uomo si vede collocato in quella condizione di passività in cui ama invece vedere collocate le donne. Avrebbe sparso la sua sensualità come una rosa spande il suo profumo e lo avrebbe inebriato fino alla follia e poi gli avrebbe dato il due di picche e lo avrebbe lasciato sparire, pieno di rabbia, oltre il confine della singolarità in quel cul-de-sac che è l’erotismo sfrenato, e lei, Marsha, sarebbe stata ad aspettarlo, seduta, a piedi ciondolanti sul baratro dei propri desideri, al confine della singolarità.
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