da Giovanni Maria Mischiati
Una volta bastavano due monetine sotto le palpebre del defunto, ma fra poco assisteremo alle corse di Fantozzi per timbrare il cartellino, con il rischio di venire travolti da mandrie di prefiche ansiose solo di non tagliare l’ultimo traguardo fuori tempo massimo. Non è bello che il becchino aspetti con la pala in mano, perciò il comune di Venezia ha deliberato un aumento delle tariffe dei servizi funebri: in sostanza, si multeranno i morti poco rispettosi dei limiti di velocità, un autovelox al contrario per chi indugerà nei saluti al caro estinto, mai così caro come nel caso di un’omelia prolissa o di una lacrima di troppo. In fondo, sarà davvero come prendere il taxi, per adeguarsi al paragone usato dall’assessore competente: se ritarda l’automedonte, liberalizzato oppure no, te lo paghi tu in base alla cifra sul tassametro. Ci vorrebbe il genio di Brassens (‘Les funérailles d’antan’) per cantare la filosofia mortuaria del sindaco mona Max Cacciari, che già di suo ha l’aria del necroforo – sia detto senza offesa per la categoria. Il grande intellettuale, che dovrebbe avere bazzicato un po’ con certe questioncelle riguardanti l’ultimo approdo dell’uomo, ha protestato di non sapere nulla della determina comunale, però mica ha aggiunto di trovare disdicevole questo modo di far cassa. Indubbiamente, in Magna Grecia c’è più dimestichezza con le faccende legate ai trapassati, e anche una maggiore sensibilità: infatti, si scazzottano quelli delle imprese di pompe funebri concorrenti, cercando di sfilare loro la bara, giusto per non far mancare ai parenti affranti il conforto di accompagnare il congiunto quasi fino allo zerbino di San Pietro. Un funerale al prezzo di due, con la concreta possibilità che ci scappi il morto in più a causa della violenta contesa per il cadavere. Estorsione pubblica in laguna, estorsione privata in terra di camorra: morire non è mai un bell’affare.
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