di Filippo Facci (il Giornale, 20 giugno 2007)
C’è sempre il rischio di urtare suscettibilità, lo so: ma a questo punto che si urtino pure, se l’alternativa è far finta di niente quando autorevoli personaggi applaudono a dei ragazzi armati di cartelli che definivano «infame» l’avvocato di Priebke mentre all’ex nazista dicevano che «Devi fare la fine di Eichmann», ossia impiccato, con le ceneri sparse per simboleggiare l’annientamento della persona. Mario Cervi, da galantuomo, ha già scritto quanto bastava circa i meri propositi di vendetta che animano tanti antifascisti professionali, e ha ricordato come anche Montanelli si fosse battuto perché Priebke potesse avere semplicemente un trattamento giusto, il trattamento già ottenuto da tanti assassini che non erano neppure soldati. Cervi non sapeva ancora che gli umori della piazza avrebbero modificato ancora una volta l’esercizio della giurisdizione. Il 93enne Erich Priebke non ha i diritti degli altri detenuti, non può fare fotocopie in un ufficio come tanti terroristi ora liberi, si deve acconsentire a che gli facciano le scritte sotto casa e nell’ascensore, non può rivedere la moglie, si deve processarlo due volte per lo stesso reato, deve godere di una legislazione personale: abbiate almeno il coraggio di dirlo.
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