da Gianni Guasto
Caro Tappi, ritiro la fucilata: tu hai ragione ed io ho avuto torto. E’ vero che il “ke” compariva anche nella Carta di Capua, e che di abbreviazioni ed acrostici traboccano le epigrafi e gli incunaboli. Pensa che la settimana scorsa, una studentessa universitaria, allieva di mia moglie, ha scritto alla sua docente una e-mail in cui tutti i “che” erano scritti “ke”. Ho suggerito a mia moglie di respingere la mail pregando la studentessa di riscrivere la lettera in italiano. Siccome mia moglie é straniera, la studentessa ha equivocato ed ha risposto scusandosi nella convinzione che mia moglie (che parla benissimo l’italiano) non avesse capito il senso dello scritto. Non la sfiorava neppure l’idea che la lingua va rispettata e contestualizzata, e che il docente non é il compagno di banco.Tuttavia, forse, di fronte ai cambiamenti epocali nella lingua e nel costume, c’é poco da fare. Perderemo il congiuntivo? Abbiamo perso l’aoristo, il duale, il neutro, eppure siamo ancora qui. Facciamocene una ragione.
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