da Primo Casalini, Monza
L’altro giorno mia moglie ha fatto un lapsus bellissimo. Mi dettava – è professoressa, quindi detta – la lista della spesa al GS e mi fa: “Yogourt ai brutti di bosco”. Mi sono alzato commosso dalla sedia e mi sono riconosciuto: io sono Brutto di Bosco! Ho pensato anche di sostituire il mio nickname di Solimano, ma è uno che si offende e ho lasciato perdere. I Brutti di Bosco li ho conosciuti tanti anni fa, in un film a basso budget, con i fondali di cartapesta e girato in 48 giorni: “Sette spose per sette fratelli” di Stanley Donen. Canzoni magnifiche e balletti meravigliosi, quello della costruzione della casa da solo ha portato via 24 giorni. E’ la storia, eterna come quella di Cenerentola, del Ratto delle Sabine. La brutterìa ha un pregio, che col passare degli anni cresce rigogliosa, mentre la pulcritudine avvizzisce a pisello secco o mandorla amara. Anche csf ha per sua fortuna qualcosa del Brutto di Bosco, si compra infatti il vizio di spaccar legna in montagna con la virtù delle interviste cittadine. E sa, come ogni spaccalegna, che in ogni donna, pur fascinata dal bellone di turno, il secondo nome – quello segreto, quindi più caro – è sempre Sabina.
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