da Muin Masri
Nei paesi arabi, specialmente quelli dove per le città campeggiano giganteschi cartelli con la scritta “DIO, PATRIA, RE”, i pochi e vecchi carceri sono sempre sovraffollati. Le accuse sono tante e le condanne più pesanti sono riservate ai dissidenti che entrano per scontare una pena definita ma, per strani motivi, rimangono dentro ad oltranza. L’unica speranza per i detenuti è l’indulto anche se per molti di loro significa comunque rientrare in carcere pochi giorni dopo oppure sparire misteriosamente per sempre. L’indulto generalmente è legato a due eventi simultanei: una persona benestante commette un crimine e, nello stesso tempo, il Re festeggia qualche evento eccezionale: la nascita di un figlio, il suo anniversario al trono oppure una visita di qualche capo di stato amico. E così Abu Jamal poté uscire dal carcere dopo solo sette anni nonostante l’accusa di avere fondato, dopo un breve soggiorno in Cina ed in Russia, il Partito dei Lavoratori Palestinesi. In Giordania un partito intriso di social-comunismo e rivoluzione non venne gradito da Sua altezza, non amava le novità. In quei giorni un nobile beduino, dicono per sbaglio, uccise due ladri di bestiame della tribù rivale. Siccome Re Hussain era al di sopra delle parti e “la legge è uguale per tutti” lo condannò a dieci anni. Fortunatamente dopo poco ci fu la visita ufficiale dell’amico Ciaucescu. Per onorare degnamente l’ospite il Re firmò l’ennesimo indulto perché il Re è come Dio, clemente. Abu Jamal, avveduto come è, sapeva che aveva solo tre giorni, il tempo della visita di Ciaucescu, per completare il suo piano. Messo piede fuori dal carcere fece l’unica cosa possibile per salvarsi la pelle: scappare verso casa, Nablus, senza né indumenti né documenti. Si diresse verso la frontiera, si consegnò ai militari israeliani e fece altri cinque anni di carcere in Israele. Ma era contento lo stesso, almeno così amava raccontare.
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