Giornate intense al mio paesello. E’ stata assegnata la legna e tutti gli aventi diritto si sono precipitati su per i boschi armati di motosega. E’ tutto un brulicare di boscaioli, un rotolamento di tronchi, uno scoppiettio di motori. C’è da portare a casa 30 quintali di faggio, dico faggio, mica abeti. Chi lo fa con carretti, chi con trattori, chi addirittura in macchina. In questi giorni il tempo non è buono. La felicità da faggio fa da contraltare alla tragedia degli orti, massacrati dalla grandine. Tutto inutile, bisogna trapiantare di nuovo, seminare di nuovo, per quel che servirà. Poi ci sono le aquile. Sono due. Veleggiano davanti a noi con le ali immobili e ogni tanto mandano il loro fischio. Tutti aspettano la butta dei porcini. La va a poche ore. A noi i porcini non piacciono nemmeno tanto, ma andremo anche noi. La raccolta dei funghi è come la corsa all’oro del Clondike. Si va perché bisogna andarci. Io preferisco andare a more e a lamponi. Ma le more tardano e i lamponi anche. Fra qualche giorno, botta di cultura, arriveranno per gli incontri con l’autore Gian Antonio Stella, Giuliana Sgrena, Oliviero Beha, Marco Travaglio, Michele Serra, Giorgio Lauro, Fiulippo Solibello, Massimo Cirri, Natalino Balasso. E, rullino i tamburi, Iva Zanicchi e Pupo. Tra un faggio e un’aquila, nel frattempo, c’è tempo per il madrasso, il gioco di carte veneziano importato qui sull’altopiano. Rito di liti e di incazzature. Ecco, questa è la mia squallida vita in questi due mesi sabatici lontano dalle interviste. (csf)
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