da Pier Franco Schiavone
È come Emilio Fede. Non ha il senso della misura, non si trattiene. La sua fame di protagonismo è insaziabile. Le critiche gli scivolano addosso, anzi trae dagli attacchi nuova linfa, come il mostro mitologico. Non si vergogna di avere responsabilità politiche serie sulla morte di Moro e di Giorgiana Masi. La lettera K sul suo cognome fu messa in quelle occasioni, oltre che per le aggressioni che continuava a riversare sul movimento giovanile di sinistra, ma lui se ne gloria e partecipa giocondo ad una mostra fotografica sugli anni di piombo che lo riguarda. Ripete in continuazione che la strage di Bologna non è una strage fascista. Aggredì verbalmente il coraggioso e giovane giudice Livatino, assassinato poi dalla mafia, dandogli dell’incompetente. Gira con la leppa nel taschino e se ne vanta, i pastori almeno vi tagliano il formaggio, lui la umilia riducendola a gadget di sardità. Aggredisce Materazzi, Travaglio, D’Avanzo e De Gennaro senza avere le prove di quanto afferma (spero che non lo querelino e gli ridano in faccia). È stato membro di un’organizzazione paramilitare (all’amatriciana) oscura e se ne vanta. Sposa la causa dei separatisti baschi in Spagna, ignorando volutamente quello che ha fatto l’ala militare del movimento in quel Paese. Cosa aggiungere?
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