da Alessio Schiesari, Firenze
I marines Usa ne hanno combinata un’altra. La tragedia di Haditha, in cui sono stati trucidati 24 civili, continua però ad essere considerata da molti come una scheggia impazzita le cui responsabilità sono da imputare solo a chi ha commesso il crimine. Chi prova ad incolpare il “sistema America” di quanto successo viene considerato un bieco sovietico giustizialista. A questo proposito può essere utile ricordare come funziona la giustizia militare a stelle strisce quando si tratta di giudicare i crimini commessi dai suoi militari: -Strage di My Lay, 1968. 347 civili vietnamiti trucidati in azione di rappresaglia. Unico condannato il tenente William Calley che si becca l’ergastolo. Poco dopo però Nixon gli riduce la pena ad appena vent’anni. In realtà uscirà di prigione appena due anni dopo avervi messo piede -Strage del Cermis. 1998. Richard Ashby, militare dell’aeronautica americana di stanza ad Aviano, durante una manovra scellerata, fa precipitare una funivia provocando la morte di venti persone. Appena un anno dopo la corte marziale americana assolve Ashby da tutti i capi d’accusa. Viene però radiato dall’aeronautica. -Caso Welshofer. Nell’autunno 2003 l’ufficiale Lewis E. Welshofer uccide con il metodo “sacco a pelo” (soffocamento) il generale irakeno Mawoush. La corte ha inflitto a Welshofer 6000 dollari di ammenda e 60 giorni di domiciliari, più o meno quanto una guida in stato di ebbrezza. Chi, come me, crede che la pena debba funzionare da deterrente contro i crimini, non ha difficoltà a comprendere perchè tragedie di questo tipo continuino ad essere un tratto distintivo dell’esercito Usa.
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