da Tommaso Trevisiol, Verona
Negli anni settanta le sprangate se le son prese sia i compagni che i camerati, la differenza sta nel tono con cui giornali e politici commentavano i fatti: le botte di destra erano sempre indegne aggressioni squadriste, quelle di sinistra invece erano reazioni alle solite provocazioni fasciste. Per questo l’uso della parola “provocazione”, oggi, è abbastanza allarmante. Se si approvano fischi e insulti violenti al ministro Moratti (che – si dice – non c’entra nulla con il 1° maggio o il 25 aprile), allora si dovranno giustificare anche fischi e insulti al (probabile) presidente della Repubblica D’Alema o al presidente della Camera Bertinotti quando parteciperanno alla celebrazione del 4 novembre (con cui – dico io – non c’entrano nulla). Ma di questo passo, dove andremo a finire? Le feste nazionali appartengono a tutti gli italiani, e nessuno può stabilire chi ha diritto di parteciparvi e chi no. Se la piazza vuol fischiare fischi (dalle piazze non c’è da aspettarsi mai nulla di buono), ma i politici devono dissociarsi. Ferrante e gli altri invece hanno giustificato. E ciò è inaccettabile.
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