da Muin Masri
La guerra non risparmia nessuno, proprio nessuno. Non solo gli essere umani soffrono come cani, ma anche i cani soffrono come gli umani; la piccola differenza è che non trovano spazio nelle cronache. E Nablus non poteva essere diversamente. Chissà quando è cominciata questa tragedia canina, ma il suo perché era ovvio: la forza d’occupazione militare israeliana oltre alla guerra fisica produce in parallelo anche quella psicologia, la cosiddetta guerra sotterranea, che spesso è più efficace e micidiale. Quando i soldati hanno capito che i palestinesi, come in tutto il mondo islamico, non sono amici dei cani, anzi, non possono aver con essi nessun rapporto amichevole, (così voleva il Profeta; il cane per noi è un animale impuro e deve stare a distanza minima di sette metri. Non sto qui a discutere se sia giusto o sbagliato, ogni religione ha suoi pregi e difetti, d’altronde sono fatte per noi umani!) hanno deciso di provocarci. Ogni tanto una quantità imprecisata di cani randagi recuperati in Israele viene trasferita a Nablus e negli altri centri palestinesi. Poveri cani! Sono costretti a vivere in clandestinità permanente perché di giorno sono molestati e umiliati da noi e di notte, vicino alla discarica dei mercati generali, diventano un bersaglio perfetto per i soldati che passano con le loro jeep ad alta velocità allenandosi al tiro a segno. Non lo facevano solo per divertimento ma anche per trasmettere un messaggio chiaro per tutti noi: farete la stessa fine dei cani…il mattino seguente la gente maledice i soldati e i cani oramai cadaveri, ma per fortuna che c’è Abu Omar! Ci pensa lui a caricare le carcasse sul suo carrellino ed a scaricarle di fronte alla caserma militare.
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