UN PO’ PER VANITY UN PO’ PER NON MORIREintervista a csf di Giovanni Audiffredi per Vanity Fair
Ornella Vanoni o Iva Zanicchi?«Butto Ornella, tengo Iva. Sono stato sul punto di portarla nell’Ulivo di Romano Prodi. Avevamo quasi firmato un accordo per candidarla in Calabria, creando una lista per lei. Ma alla fine non ha avuto cuore. Sarebbe stata un’icona per la sinistra, perché lei è di sinistra».
Nessuno lo sa, però. Nemmeno lei.«Segue Berlusconi perché è il suo datore di lavoro».
Alla fine di questa intervista c’è il suo divertimento preferito, il gioco della torre. Ha accettato di farlo in versione «post 8 marzo»: si gettano (o si salvano) solo donne. Prima però abbiamo chiesto a Claudio Sabelli Fioretti – giornalista, scrittore, autore di radio e Tv, vanitoso Padreterno degli intervistatori, permaloso di professione – di parlarci del suo Dimmi, dammi, fammi, un’inchiesta sui comportamenti femminili aggiornata al 2009 (era già stata in parte pubblicata da Frontiera nel 2000).
Chiamatela, se volete, una piccola vendetta che ci siamo presi per smentire l’idea di Sabelli Fioretti che un’intervista su un libro non è un’intervista al suo autore. Idea di cui è cosi convinto che ha pubblicamente litigato, intervistandola per La Stampa, con l’amica Daria Bignardi, firma di Vanity Fair, autrice del romanzo Non vi lascerò orfani.
Ma c’era proprio bisogno di far arrabbiare Daria Bignardi?«Ho sbagliato: mai intervistare gli amici. Le interviste che preferisco sono quelle a persone che non stimo».
Bugiardo. Hai intervistato di più proprio quelli che ti piacciono: 4 volte Marco Travaglio, 3 volte Valeria Marini, Antonio Di Pietro e Vittorio Sgarbi.«Lo ammetto, ho sfruttato Travaglio: ho venduto 12 mila copie con un libro-intervista rivolto al suo pubblico. Una paraculata».
Invece attacchi quelli che non sopporti: i commenti cattivi della tua rubrica Mosca al naso li hai dedicati 4 volte a Silvio Berlusconi, 3 a Paola Binetti, 3 a Umberto Bossi e 3 a Costantino Vitagliano.«Mi arrendo: sono reo di aver pensato tre volte per più di un quarto d’ora a Costantino Vitagliano».
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