di Massimo Fini (Il Gazzettino”, 30/11/2005)
Allora il giudice milanese Clementina Forleo non era una mezza matta o addirittura una simpatizzante della jihad, come strillò scandalizzata, la destra quando lo scorso gennaio assolse Mohammed Daki e altri due magrebini dall’accusa di “terrorismo internazionale”, pur condannandoli per altri reati, quali la ricettazione di passaporti falsi e la alterazione di documenti ad uso di immigrati clandestini. La terza Corte d’assise d’Appello di Milano ha infatti confermato la sentenza di primo grado, assolvendo peraltro Daki da tutte le imputazioni condannando gli altri due per i reati minori.Si tratta di sentenze importanti perché operano una distinzione fra guerriglia e il reato di “terrorismo internazionale” introdotto in Italia dopo l’11 settembre Il nuovo articolo del nostro Codice penale (270 bis) non specifica cosa si intenda per “terrorismo internazionale”, ed è toccato quindi ai giudici, di merito, mettere i paletti per definirlo. È stato infatti accertato che Daki e gli altri reclutavano elementi per rifornire l’organizzazione “Al Ansar Al Islam” che in Iraq combatte contro gli occupanti angloamericani e italiani. Per il Pm milanese Stefano Dambruoso questo era sufficiente per considerare i tre complici del terrorismo. Ma “Al Ansar Al Islam” in Iraq fa soprattutto guerriglia e solo marginalmente atti di terrorismo e non c’era nessuna prova che gli elementi reclutati da Daki e gli altri avessero partecipato a questo tipo di azioni. I giudici hanno quindi applicato innanzitutto il principio generale del diritto secondo il quale nessuno può essere condannato se nei suoi confronti non sono state raccolte prove che ne dimostrano la colpevolezza “oltre ogni ragionevole dubbio”. Ma così facendo hanno anche operato, implicitamente ed esplicitamente, una distinzione fra guerriglia e terrorismo, perché era provato “oltre ogni ragionevole dubbio” che Daki e i suoi reclutassero elementi che andavano a combattere in Iraq contro gli occupanti. CONTINUA…
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