Filippo Facci per “Il Giornale”
Una persona scorre Cafonal, la rubrica del sito Dagospia dove vengono fotografate le peggiori feste d’Italia con la peggiore gente del mondo (favelas brasiliane comprese) e gli sovvengono le battute finali di Rosemary Baby, il film di Roman Polansky con Mia Farrow: «Mostri, siete dei mostri». All’innegabile contributo macro-sociologico fornito da Cafonal peraltro se ne somma uno micro-sociologico: guardare quelle fotografie fa sentire migliori, fa sentire meglio persino quando il cielo plumbeo di Milano pare schiacciarti.Confessione: negli anni lo scrivente si era più volte chiesto, circa il più becero pianeta mondano e massmediatico, se tanto valesse sporcarvisi le mani dall’interno (con la classica scusa di combatterlo) o se tanto valesse continuare semplicemente a non sporcarsele, a snobbarlo da lontano. È bello aver risolto l’arcano. Certi salotti milanesi o romani, certi programmi televisivi, certe cene, certe feste, certe orge del potere e sottopotere, e certi dibattiti, premiazioni, presenze nel namedropping marchettaro dei supplementi di quotidiano, orbene: non bisogna esserci punto e basta. Pazienza se a qualcuno parrà un protagonismo speculare, un narcisismo morettiano, un limite. Devi preventivare di poter dire, un giorno: io non c’ero. Ieri Cafonal immortalava un festone romano che era stato organizzato da un neuro-psichiatra infantile di 92 anni: perfetto. E comunque, al cielo plumbeo di Milano, dopo un po’, ci si affeziona.
Ecco lo sapevo che la sfiga mi perseguita. In vita mia sono andato a una sola di quelle feste. Solo al compleanno di Bollea. E non ero nemmeno invitato. Mi sono presentato, portato dal mio compagno di scuola Tito Schipa jr e da sua moglie Adriana, la più grande cuoca privata d’Italia, vestito casual con un maglioncino multicore, pantaloni rossi, scarponcini da neve e camicia nera modello Storace. E proprio stavolta Filippo Facci doveva prendersela con le feste Cafonal, maledizione? Filippo potrà sempre dire: io non c’ero. Ma lo posso dire anche io: io non c’ero, tranne questa volta (csf)
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